L’invidia dei poveri e la lotta all’evasione

Il pesante attacco al governo sferrato da Montezemolo nel forum pratese della piccola industria è un evento che converrà tenere a mente, poiché potrebbe segnare un passaggio di fase nella XV legislatura repubblicana. Staremo a vedere. Intanto prendiamo nota dell’argomento speso dal presidente di Confindustria per criticare la Finanziaria firmata da Tommaso Padoa-Schioppa. La manovra dimostrerebbe l’infausta influenza della «sinistra massimalista» sull’esecutivo, in quanto la ispirerebbe l’«invidia sociale». Nel paese di Eurolandia che batte ogni record in materia di ineguaglianza e concentrazione della ricchezza e che presenta livelli indecenti di povertà interna, la tesi è comica. Nondimeno, Montezemolo non è il solo, di questi tempi, a lamentarsi dell’invidia dei poveri. Qualche giorno fa Geminello Alvi ha scritto sull’inserto economico del Corriere un articolo nel quale l’Italia viene paragonata nientemeno che al Venezuela di Chavez, e questo proprio perché una «Finanziaria perniciosa» avrebbe seminato l’«invidia di stato», passione perversa e sterile «che ha generato ipocrisia e miseria ovunque la si sia alimentata».
Ad Alvi si potrebbe ricordare che il risentimento dei poveri ha prodotto anche qualche effetto significativo, come la rivoluzione francese. Ma quel che ci interessa è capire le ragioni di questa curiosa insistenza sui pericoli dell’invidia sociale. Che cosa spaventa in una Finanziaria piuttosto prodiga con le imprese (vedi cuneo fiscale e compensazioni per il Tfr)? Che cosa irrita in una manovra che sposta verso i redditi medio-bassi poco più di 400 milioni, riservando a chi guadagna 200mila euro l’anno un aumento d’imposta di appena 150 euro mensili? C’è solo una risposta possibile. Quel che non si tollera è che un governo dia finalmente prova di voler cominciare una battaglia seria contro l’evasione e l’elusione fiscale. La retorica della crescita opposta all’incremento delle entrate, gli alti lai contro la presunta revanche statalista, le invettive nei confronti di un Prodi convertito a un improbabile «massimalismo», non si spiegano se non alla luce delle misure che la Finanziaria destina all’ampliamento della base imponibile e a un recupero di gettito evaso stimato nell’ordine di 4,9 miliardi di euro nel 2007. Non è una rivoluzione, ma è il segnale di una nuova tendenza che a taluni pare intollerabile.
Contro queste scelte del governo, Alvi rinfaccia alla sinistra di avere abiurato Marx dimenticando la centralità della lotta salariale e del conflitto di fabbrica. Non ha tutti i torti. Ma siccome la quantità fa qualità, l’argomento, di per sé rilevante, è qui e ora del tutto pretestuoso. Alvi sa o dovrebbe sapere che in Italia la questione fiscale ha ormai dimensioni tali da pregiudicare qualsiasi programma di politica economica. Qual è il gettito sottratto all’erario ogni anno da 311 miliardi di redditi non dichiarati al fisco, ai quali si aggiunge un’evasione contributiva pari a circa 35 miliardi? A star bassi, si tratta di 100-130 miliardi di euro, qualcosa come tre Finanziarie pesanti. Non si capisce perché quasi nessuno ne parli, ma resta il fatto che – non considerando questo dato – tutto il dibattito sull’Irpef e sulla composizione della manovra è falsato, per non dire che è grottesco.
L’evasione fiscale e contributiva in Italia è un cancro, che rimanda al fatto che l’economia e il territorio di tutto il Mezzogiorno sono in gran parte sotto il controllo delle mafie e che poco meno di un terzo dell’economia del paese e oltre 5 milioni di lavoratori operano nel sommerso e nell’illegalità. Se questo cancro non ci fosse, si potrebbe fare letteralmente di tutto, a cominciare da un serio intervento su infrastrutture e servizi e da una politica dei redditi che per lo meno restituisca al lavoro il maltolto (oltre 20 punti di Pil sottratti ai redditi da lavoro e trasferiti ai redditi da capitale nel giro degli ultimi quindici anni). Ma questo cancro c’è e cresce su se stesso. Restringe drammaticamente i margini di manovra di ogni governo e, costringendo lo stato a varare finanziarie che colpiscono i soli contribuenti leali, accresce a dismisura i vantaggi relativi degli evasori. Proprio per questo il governo dell’Unione deve capire che si trova dinanzi a un bivio.
Le violente critiche che si abbattono sulla Finanziaria muovono da interessi inconciliabili proprio perché inerenti alla questione fiscale.
Non si può dar retta nello stesso tempo a chi chiede tagli e soldi pretendendo di non parlare di evasione, e a chi reclama il mantenimento delle promesse elettorali in materia di servizi pubblici e di diritti del lavoro. Se non si vuole scontentare tutti, bisogna scegliere. Sapendo che non si tratta soltanto di etica politica, ma anche di pura e semplice razionalità. Speriamo che la grande delusione del 2001 sia servita a qualcosa.