Come e perchè il presidente Usa ordinò l’uso di ordigni nucleari su Hiroshima e Nagasaki
Non è ancora l’alba del 6 agosto 1945, quando un quadrimotore B-29 che si chiama “Enola Gay” (dal nome della madre del pilota, il ventinovenne Paul W. Tibbets) si alza in volo da Tinian, un’isoletta delle Marianne; ha a bordo 12 uomini di equipaggio e un unico ordigno bellico: è “Little Boy”, il “Ragazzino”, la prima bomba atomica creata sulla terra. Sarà sganciata da lì a poche ore – precisamente alle ore 8,15’17”- su una città del Giappone destinata a diventare funestamente nota, Hiroshima.
A 600 metri dal suolo “Little Boy” esplode; dopo 7 secondi il silenzio è rotto da un tuono assordante: 30.000 persone muoiono sul colpo, altre 40.000 periranno nei due giorni successivi, tutti gli edifici nel raggio di tre chilometri sono distrutti, una colonna di fumo si alza lentamente a forma di fungo fino a 17 mila metri dal suolo, inizia a cadere una pioggia viscida, i fiumi straripano. Missione compiuta. Alle 14,58 ora locale, il B-29 di Tibbets è di ritorno, atterra regolarmente a Tinian. La storia del mondo è stata segnata in modo indelebile.
Ma perché la Bomba è stata lanciata? La domanda è ancora di interessante attualità. Molto, moltissimo si è scritto infatti sugli effetti di “Little Boy”, ma pochissimo sulle cause che hanno portato quel bombardiere ad alzarsi in volo col suo specialissimo strumento di morte.
6 agosto 1945, bisogna sottolineare la data. La guerra in Europa è finita e vinta, il Terzo Reich è sconfitto in Francia e in Italia, a est la controffensiva sovietica ha liberato la Polonia e in marzo preme su Berlino; il 30 aprile Hitler si suicida. L’unico paese belligerante resta il Giappone che, nonostante le sconfitte subite, continua a impegnare duramente l’esercito Usa.
Il 17 luglio di quello stesso fatale 1945, si apre a Postdam la conferenza tra i vincitori della guerra in Europa, attorno al tavolo per discutere i nuovi assetti del mondo siedono Churchill, Stalin e Truman; Roosvelt è infatti morto pochi mesi prima, il 13 aprile. E’ già stata firmata la carta dell’Onu, e i buoni rapporti tra i tre Grandi sembrano prefigurare un futuro di pace e armonia tra le potenze dominanti. Ma non è così liscio e pacifico come sembra all’apparenza. Infatti già si allunga l’ombra della Guerra Fredda (il discorso di Fulton, quando Churchill per la prima volta inventa la “cortina di ferro”, è di appena otto mesi dopo, il 10 marzo 1946).
Nel corso della conferenza (l’annotazione è dello stesso Churchill) improvvisamente l’umore di Truman cambia: da affabile e condiscendente nei riguardi di Stalin, da un certo punto in poi si fa arrogante e imperativo. Scrive Churchill in persona: «Si scagliò contro i russi, affermando che certe loro richieste non potevano essere accettate e che gli Stati Uniti si sarebbero assolutamente opposti».
Quella repentina “virata” di Truman aveva una causa precisa: nasceva infatti da un telegramma che il suo segretario particolare gli aveva appena consegnato, sette parole in tutto: «Il bimbo è nato in modo soddisfacente». La frase in codice significava questo: il 16 luglio 1945 la prima bomba atomica della storia dell’uomo era stata fatta esplodere in una zona desertica del New Mexico. L’esperimento era pienamente riuscito. Un’arma dalla potenzialità distruttiva sin allora inimmaginabile cadeva adesso in mano americana. Dopo quel telegramma, Truman è diventato l’uomo più potente del mondo e anche l’Urss se ne deve rendere conto. E subito.
Del resto, la Bomba è costata uno sforzo colossale. A Los Alamos, dove una comunità di scienziati (tra i quali Fermi, Oppenheimer, Szilard, Compton, Lawrence) lavora alla costruzione della bomba atomica, sono impegnati 125 mila uomini, mentre l’investimento finanziario in campo bellico degli States passa dagli 8.400 milioni di dollari del ’41 ai 100 mila milioni dell’anno dopo; il solo “progetto Bomba” (portato avanti in gran segreto, solo Inghilterra e Canada ne sono a conoscenza) è costato più di due miliardi di dollari. La Bomba era nata. Ora bisognava usarla. Truman non esita.
A Postdam, nel corso della stessa conferenza, Stalin informa il presidente Usa che il Giappone ha chiesto la pace; ma il presidente Usa se ne infischia. C’è la Bomba. E la Bomba deve essere sganciata per mettere in ginocchio il Giappone, ma soprattutto per dimostrare al mondo intero, e specialmente a Stalin, la inarrivabile potenza Usa.
Passano solo otto giorni. Il 24 luglio Truman ordina di sganciare; se “Little Boy” del 6 agosto su Hiroshima non basta, il 9 agosto è pronta “Fat Man”su Nagasaki; e quante altre ancora, parola di Truman. Dopo la seconda bomba, Il Giappone è costretto alla resa e accetta tutti i punti imposti dall’ultimatum di Postdam; in cinque mesi, per gli effetti delle esplosioni e delle radiazioni, moriranno 300 mila persone. Truman è soddisfatto.
Il suo annuncio radiofonico, il 6 agosto 1945, così incomincia: «Sedici ore fa un aereo americano ha lanciato una bomba su Hiroshima, importante base dell’esercito giapponese. Questa bomba possedeva una potenza superiore a quella di ventimila tonnellate di trinitrotoluolo. Si tratta di una bomba atomica. La forza da cui il sole trae energia è stata lanciata contro coloro che hanno provocato la guerra in Estremo Oriente».
Okey. Quando gli comunicano i dati della catastrofe provocata dalla Bomba, la sua frase è: «E’ il più grande giorno della storia». Per poi aggiungere: «Siamo in grado di aggiungere che usciamo da questa guerra come la nazione più potente del mondo. La nazione, forse, più potente di tutta la storia». Conseguentemente (radiodiscorso trasmesso il 9 agosto 1945) aggiunge: «Se il Giappone non si arrenderà, sganceremo altre bombe». Il fine giustifica i mezzi, si giustifica: le Bombe, dice, «servono a risparmiare la vita di 500.00 soldati americani».
Ma non è vero, quello di Truman è un messaggio falso, basato su dati falsi. Lo smentiscono ad esempio i rapporti dello Stato Maggiore. Essi dicono che il Giappone aveva già chiesto la pace e che l’esercito nipponico si sarebbe arreso «entro l’anno» senza bisogno di bombe atomiche o di invasioni via terra. E dicono anche che le previsioni di eventuali attacchi di terra già programmati contro il Giappone, «danno perdite non superiori a 40 mila uomini», non i 500 mila di cui parla il presidente.
L’apparizione della terrificante arma apre drammatici interrogativi tra gli scienziati. Ma anche ai massimi vertici militari il dissenso sull’uso dell’atomica è significativamente vasto. A cominciare da Eisenhower, all’epoca comandante generale dell’esercito Usa. E’ contrario nettamente: primo, perché i giapponesi erano pronti alla resa; e, secondo, perché gli ripugnava l’idea che gli americani fossero i primi a utilizzare la terribile Bomba. E scrive a Truman: «Se un’arma simile dovesse essere utilizzata, nessuno poi sarebbe in grado di controllarla».
E sono contrari parecchi membri dello Stato Maggiore. L’ammiraglio W. D. Leahy espresse così il suo no: «Personalmente ero convinto che usare per primi la bomba atomica significasse adottare uno standard etico non dissimile da quello dei barbari del medioevo». E Basil Henry Liddel Mart, storico e critico militare: «Gli Alleati non avrebbero avuto alcun bisogno di impiegare la bomba atomica. Con i nove decimi del naviglio mercantile affondato o fuori uso, le forze aeree e navali paralizzate, le industrie distrutte e le scorte di viveri in rapida diminuzione, il Giappone era già condannato, come ha ammesso lo stesso Churchill». Di identico tenore il rapporto dello Us Strategic Bombing Survey; e l’ammiraglio King, comandante in capo della marina da guerra Usa, dal canto suo affermò che «il solo blocco navale sarebbe bastato a costringere i giapponesi alla resa. Bastava aspettare».
Con il bombardamento di Hiroshima, scrive Camus all’epoca, «la nostra civiltà tecnica ha raggiunto il suo apice di barbarie». E Mauriac: «La Terra non resisterà a questo genio della distruzione, a questo amore della morte spinto fino all’ossessione, a questa bomba che il presidente Truman, con infernale ostensione, tiene levata su un mondo che fino a ieri credeva solo nella materia».
Perchè allora il presidente americano ha agito e agito con una fretta così ingiustificabile? Lo spiega, lo stesso Liddel Mart: «Con la bomba gli Usa non avrebbero più avuto bisogno dei russi, la fine della guerra giapponese non dipendeva più dall’immissione delle loro armate, la richiesta dell’Urss di partecipare all’occupazione del Giappone poteva essere respinta».
Chiaro. Le vittime sono giapponesi, il destinatario è Stalin.
Il lancio della Bomba può essere considerato il primo atto della Guerra Fredda.