L’intervento occidentale in Libia rischia di provocare la “somalizzazione” del paese

Traduzione di l’Ernesto online

*Il blog «Atlas alternatif», diretto da Frédéric Delorca si propone dal 2006 di offrire un contributo collettivo (42 collaboratori) al servizio della critica del dominio dei grandi gruppi industriali, finanziari, mediatici e degli Stati occidentali nel mondo e a sostegno dell’iniziativa, sul piano internazionale, delle forze progressiste antimperialiste.
Tre settimane di bombardamenti da parte degli aerei da combattimento britannici, francesi e statunitensi non hanno ancora potuto far altro che instaurare la divisione di fatto tra la Tripolitania (dove i civili sono ormai armati) che si schiera compatta dietro Gheddafi e la Cirenaica dove gli insorti insufficientemente armati non sono stati in grado di riportare la vittoria decisiva, malgrado il sostegno aereo occidentale.

Ufficialmente i bombardieri statunitensi non partecipano più ad azioni dirette sulla Libia dal 4 aprile, data del trasferimento del comando alla NATO, ma tale ritiro sarebbe in effetti solo parziale. Esso lascia comunque sul terreno una penuria di bombardieri che la Francia vorrebbe compensare chiedendo ai 22 dei 28 membri della NATO ostili ad ogni partecipazione militare di farsi coinvolgere.

Davanti allo stallo militare, i responsabili statunitensi non nascondono più la loro paura che la Libia si trasformi in un “failed state”, uno stato mancato di tipo somalo, dove si infiltrerebbero estremisti di ogni fazione. Già un migliaio di jihadisti sarebbero stati censiti nelle file degli insorti di Bengasi sostenuti dagli occidentali, secondo l’islamista pentito Noman Benotman. L’ammiraglio James G. Stavridis ha confermato la loro presenza davanti al congresso degli Stati Uniti e il segretario generale della NATO Anders Fogh Rasmussen ha riconosciuto che Al Qaida potrebbe rafforzarsi ancora di più.

“Foreign Policy” e il “Fund for Peace”, che classificano i paesi secondo il loro grado di stabilità, hanno aggiunto la Libia alla lista dei paesi “al limite” dell’instabilità prolungata – allo stesso titolo del Messico e dell’Ucraina.

La guerra occidentale in Libia che viola la risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU votata unicamente allo scopo di proteggere i civili, è sempre più impopolare nel mondo. I cinque paesi emergenti del BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa) che rappresentano più del 40% della popolazione e il 18% del PIL del pianeta, riuniti a Sanya in Cina, si sono pronunciati contro l’uso della forza in Libia. In paesi vicini alla Libia, l’opinione pubblica di Algeria e Tunisia è ostile all’operazione militare della NATO.

Sul terreno le conseguenze della guerra sono disastrose. Sebbene la Libia sia il paese più ricco dell’Africa del Nord, più di metà della popolazione (3,5 milioni di abitanti) potrebbe avere bisogno dell’aiuto umanitario, mentre 500.000 persone sono già fuggite dal paese. Gli occidentali accusano le forze di Gheddafi di sparare sulla popolazione civile a Misurata che è sulla linea del fronte da molti giorni. In compenso, una dichiarazione del portavoce del ministero russo degli affari esteri Alexander Lukacevic ha chiamato in causa gli attacchi effettuati dagli occidentali su siti non militari a Tripoli, Tarhuna, Maamura che hanno provocato la morte di 48 civili (150 feriti), la distruzione parziale di un centro cardiologico, di strade e ponti. Il bilancio delle perdite civili resta incerto. Il governo libico ne conta un centinaio dall’inizio delle operazioni, una cifra verosimile e forse sottostimata se si tiene conto del fatto che le forze lealiste sono disseminate nelle città controllate dal governo.

Al di là degli effetti immediati, la guerra potrebbe generare anche una catastrofe a medio termine in tutta l’Africa del Nord-Ovest. Secondo il quotidiano algerino El Watan, centinaia di giovani Tuareg del Mali e dell’Algeria si sono recati ultimamente a Tripoli per difendere il regime del colonnello Gheddafi, attirati dalla prospettiva di avere denaro ed armi. Insieme alle forze di Al Qaida del Magreb intervenute a sostegno degli insorti di Bengasi, rappresentano un fattore preoccupante di disseminazione del conflitto in tutto il Sahara nel medio termine.

Le possibilità di trovare una via d’uscita decente dal pantano libico restano tuttavia esili, poiché il Consiglio nazionale di transizione di Bengasi pone sempre come condizione imprescindibile per la pace le dimissioni di Gheddafi.