L’integrazione va. Ma dove?

L’integrazione sud-americana va avanti, fra colpi d’acceleratore e di freno ma va avanti. Il venezuelano Hugo Chavez, che ne è il massimo impulsore, ha invitato domani e martedì i presidenti dei 12 paesi del Cono sud all’isola Margarita per la prima Cumbre energetica suramericana, dove si parlerà dell’«anello energetico» e di petrolio, gas e – punto dolente – di bio-combustibili. Il 4 aprile scorso, a Brasilia, Lula da Silva e Rafael Correa hanno parlato – e firmato accordi – di integrazione fra Brasile ed Ecuador.
Più difficile dire in che direzione andrà l’integrazione e se alle parole corrisponderanno i fatti.
Lula, alla guida della potenza economica della regione (il real sta battendo ogni record sul dollaro e il rapporto di cambio è ormai vicino ai 2 reais per dollaro senza riuscire ad intaccare la formidabile spinta delle esportazioni brasiliane), ha promesso all’Ecuador diversi investimenti mirati nei prossimi anni. Come la mega autostrada che colleghi Manaus, capitale economica dell’Amazzonia, con Manta, ora nota solo per la grande base aero-navale che vi hanno installato gli Usa ma che è già ora il porto dell’Ecuador per cui pssa il commercio del petrolio dell’oriente ecuadoriano verso il Pacifico.
A proposito di greggio ecuadoriano, il Brasile vi ha già investito 420 millioni di dollari e Lula ha promesso di raggiungere quota mille entro il 2010. L’argomento, controverso, dei combustibili è stato certamente il più discusso dai due presidenti, apparentemente d’accordo sull’importanza che avranno etanolo e biodiesel nel futuro.
Su questo aspetto è evidente il peso che ha avuto la visita di Bush nel marzo scorso in Brasile: è sui biocombustibili che, con ogni probabilità, il Sudamerica misurerà il suo peso specifico nel mercato mondiale del futuro. Lula si prepara a tirare questa leva anche nella prossima riunione della Wto per ottenere vantaggi commerciali per il Brasile e, anche per questo, cerca di manterenere un equilibrio sempre più difficile fra il modello economico attuale, improntato all’ortodossia liberista, e quello auspicato da Chavez, che vorrebbe un’economia continentale totalmente sganciata dagli organismi internazionali.
E’ fra queste due tendenze che si gioca il futuro dell’integrazione sud-americana. Entrambe parlano di grandi investimenti, mega infrastrutture, sviluppo su tutti i livelli. Ma per Lula tutto questo non passerà attraverso la nazionalizzazione delle risorse naturali (nè proprie nè altrui: le aspre reazioni della brasiliana Petrobras dopo la nazionalizzazione degli idrocarburi boliviani sono state motivo di forti tensioni con Evo Morales). Nè attraverso politiche nazionaliste che favoriscano i piccoli proprietari locali a svantaggio dei grandi capitali esteri: nessuna riforma agraria si profila all’orizzonte. Tanto è vero che il Movimento dei Sem-Terra brasiliano solo pochi giorni fa ha attaccato frontalmente e per la prima volta personalmente Lula per non avere onorato i suoi impegno sulla riforma agraria («è caduta la maschera del presidente»).
Tutto fa pensare che il Brasile sia disposto sì a camminare a braccetto col resto del Sudamerica, e a favorire l’integrazione con i cugini andini e amazzonici, ma che il modello economico dell’economia non cambierà.
Non a caso, al termine della riunione fra Lula e Correa, sulle agenzie è rimbalzata una dichiarazione del portavoce di Lula che ha criticato il progetto del Banco del Sur, quel fondo comune che dovrebbe finanziare le grandi infrastrutture volte all’integrazione regionale. L’idea di una Banca del Sud è targata Chavez e da sempre è stata sostenuta dall’argentino Kirchner. Questa critica, aggiunta all’annuncio dell’autostrada fra Manaus e Manta (un progetto e un investimento bilaterali e non regionali) , è uno schiaffo alla leadership che Chavez tenta di guadagnarsi sul campo. Secondo il portavoce brasiliano l’idea di un proprio sistema finanziario è buona, ma manca di sostanza. Come dire, l’ennesima sparata populista del venezuelano per aumentare la propria influenza sulla regione. Meglio semmai il progetto di effettuare gli scambi commerciali in monete locali anzichè in dollari, come faranno Argentina e Brasile con un progetto pilota a partire da luglio. E che il Banco del Sur funzioni al massimo come un Fmi regionale, con il compito di stabilizzare l’economia di ogni paese.
Ma resta da vedere se i movimenti sociali che hanno fatto fiorire la «primavera sudamericana» (sinistra al governo ovunque tranne che in Colombia e Paraguay, dove però si vota nel 2008) si acconteranno di una pallida e ambigua mezza stagione.