L’ingerenza della «politica»

Nessuno sembra più interessato a garantire l’indipendenza della Banca d’Italia. La fine ingloriosa del Governatore sembra avere trascinato con se l’intera storia dell’Istituto: una storia forse controversa, ma certamente importante. Fino a ieri, peraltro, nessuno contestava l’autorevolezza raggiunta da quest’istituzione, tant’è che la ragione forse principale (al di là delle vicende processuali e dell’etica dei comportamenti) che rendeva urgente giungere alle dimissioni del Governatore era indicata nella salvaguardia del prestigio della Banca.
Il precedente di Banfi e Sarcinelli, era lì a dimostrarlo. Ora che le dimissioni – incredibilmente tardive – del Governatore sono state presentate, nessuno s’interroga più su come conservare tale patrimonio. Una distrazione in fondo facilmente spiegabile: chi volesse ancora interrogarsi su come salvaguardare la Banca ed il prestigio del suo ruolo, dovrebbe contestare in radice la discussione che si è sviluppata sul «dopo Fazio», incentrata sui criteri di nomina del Governatore, nonché del direttorio. Un dibattito che si fonda su un presupposto in realtà condiviso da tutti i soggetti politici, sia di maggioranza che di opposizione, e che sembra fatto proprio anche dalle più alte figure istituzionali: agli organi della rappresentanza politica-istituzionale spetta la scelta del vertice della Banca d’Italia.

Le eventuali differenti posizioni hanno ad oggetto il meccanismo con cui realizzare questo proposito e il ruolo da dare ai diversi tipi di rappresentanza politica (se far prevalere la rappresentanza maggioritaria e dunque la nomina governativa, se quella parlamentare e dunque la nomina di una Commissione a maggioranza qualificata, se quella d’unita nazionale e dunque la nomina presidenziale, ovvero quale mix tra queste diverse rappresentanze). A nessuno viene però in mente che la Banca d’Italia è stata sino ad ora estranea al circuito della rappresentanza politica tout court.Non voglio difendere il sistema vigente di scelta del Governatore e del Direttorio, troppo autoreferenziale e troppo informale, con un peso decisivo, ma non sostanziale, attribuito ad un organo – il Consiglio superiore – che non sembra rispondere a nessuna logica di sistema.

Devo però constatare che il passaggio ad un sistema di nomine politiche dei vertici dell’Istituto, non può che travolgere l’autorevolezza e il ruolo fin qui assunti della Banca. Un sistema – quale che sia il ruolo effettivamente giocato dal Governo, dal Parlamento e dalla Presidenza della Repubblica – che finirebbe inevitabilmente per trascinare Palazzo Koch nel circuito politico rappresentativo. E’ un bene? Non si deve tacere che già ora il rapporto tra la politica e la Banca è assai problematico. Forse il principale collegamento istituzionale tra le politiche economiche definite dal Governo e le scelte in materia creditizia dell’Istituto di via Nazionale si è rivelato troppo debole, e la partecipazione del Governatore al Comitato interministeriale per il credito ed il risparmio non è più sufficiente.

Ma anche chi volesse rendere più serrato e responsabile il confronto tra la politica e la Banca deve chiedersi se il modo migliore per raggiungere lo scopo sia quello di far scegliere direttamente i vertici dell’Istituto dai responsabili governativi o parlamentari delle politiche economiche. Non si rischia di indebolire e sbilanciare il confronto?Per non dire della previsione di un mandato a termine, ma soggetto a possibile rinnovo. Secondo mandato che, evidentemente, sarà conferito in base ad un giudizio sull’operato svolto.

I soggetti cui spetterà il potere di tenere in carica un Governatore non potrebbero che fondare la propria decisione sulla capacità dimostrata dalla Banca nel sostenere e soddisfare le esigenze politiche dei governi e delle maggioranze, qualificata o meno che siano. Che forza di contrattazione potrebbe avere un Governatore il cui mandato è sottoposto a rinnovo? Da parte dell’opposizione si insiste in questi giorni sulla necessità di una scelta condivisa del Governatore: che sia politica e governativa la nomina, ma almeno che sia concordata tra maggioranza e opposizione (nonché con il Capo dello Stato). Ma siamo sicuri che di questo si tratti?La vera questione che bisognerebbe porre sul tappeto credo sia invece un’altra: ha senso un meccanismo di nomina politica per la scelta dei vertici dell’Istituto cui il nostro ordinamento assegna il compito di vigilare sul credito ed il risparmio (mentre, si badi, non può più «governare» la moneta, la cui valenza politica delle decisioni appare ben più rilevante, ma che è oramai interamente di competenza della Bce)? Le ragioni dell’indipendenza della Banca non verrebbero ad essere irrimediabilmente compromesse? Non vorrei che ad offuscare la capacità critica dei commentatori contribuisca la specifica vicenda per come si sta svolgendo.

E’ possibile, infatti, che l’attuale partita si possa concludere con la soddisfazione di tutti. I nomi che circolano dei possibili candidati alla poltrona di governatore, possono piacere o meno, ma sono tutti certamente autorevoli, inoltre l’attuale Presidente della Repubblica, in questo momento e per sua storia personale, può esercitare un condizionamento di fatto e garantire da una scelta non «all’altezza». Ma domani? Ammesso e non concesso che al Governatore Fazio ne succeda uno migliore (e per come sono andate a finire le cose, francamente non è difficile che ciò avvenga), chi può garantire che la prossima volta la scelta non sia esclusiva conseguenza di un imponderabile calcolo politico e di convenienza del momento? Ci possiamo permettere un simile scenario futuro? Ci possiamo permettere il lusso di rinunciare a garantire l’indipendenza delle nomine di vertice della Banca d’Italia? Passare dal modello Banca d’Italia al modello Rai non mi sembrerebbe un progresso.

* (ordinario di dirittocostituzionale dell’Università«La Sapienza» di Roma)