L’ingenuo Fazio e il potere delle multinazionali

Bankitalia, la debolezza della democrazia

Molte riflessioni ispira la vicenda giudiziaria che sta travolgendo i vertici della Banca d’Italia, e tutte inquietanti. Prima di tutto c’è la conferma che con il dominio della comunicazione governata dalle moderne tecnologie elettroniche ed informatiche, tutto può essere ascoltato, spiato, registrato. Lo sapevamo e semmai colpisce l’ingenuità, o forse l’eccesso di sicurezza sulla propria intangibilità, delle persone potenti che affidano al cellulare la violazione della propria riservatezza.
C’è poi l’amplificazione che all’azione della magistratura dà il mondo dell’informazione. Le intercettazioni compaiono sui giornali, magari su quelli del presidente del Consiglio. La grande stampa fa da gigantesca cassa di risonanza delle azioni giudiziarie e le carica di un significato politico strategico. Anche qui siamo da troppo tempo abituati a dare per scontata una violazione delle nostre libertà. Tutta la grande stampa d’opinione è in mano a famiglie imprenditoriali, e l’ingegner De Benedetti può dichiarare che manterrà l’orientamento d’opposizione a Berlusconi nei suoi giornali, mentre fa affari con il padrone di Mediaset. Viene così il sospetto che la guida assunta dal Corriere della Sera nella campagna di moralizzazione del capitalismo italiano, sia anche determinata dai rischi di scalata alla proprietà del giornale, proprio per opera di quegli immobiliaristi che oggi varcano le aule dei tribunali.

Il conflitto e la confusione degli interessi sono, come ricordava ieri Sansonetti, la caratteristica di fondo del capitalismo oggi, e per questo guardiamo con enormi riserve a quanto sta avvenendo.

Certo, i magistrati fanno il loro dovere e fanno bene, semmai è un segno dei tempi che il giudice che sta operando su Antonveneta, forse rischia di più per aver difeso degli extracomunitari dall’eccesso di zelo delle forze dell’ordine.

I magistrati fanno il loro dovere, come lo fecero all’epoca di tangentopoli e, prima ancora, quando intervennero sui periodici scandali che coinvolgevano il sistema delle imprese, il potere pubblico, la finanza. Resta però il fatto che la risultante di quelle sacrosante azioni è sempre stata finora qualcosa di ben diverso dalla moralizzazione della vita politica o di quella economica.

Dopo Tangentopoli abbiamo avuto un sistema politico che ha distrutto la partecipazione dei cittadini nelle scelte di governo, che ha risolto con un’americanizzazione della vita democratica la crisi dei partiti di massa. Anche sul piano morale le cose non sono cambiate. Non sembra che la corruzione politica sia diminuita e, d’altra parte, se all’epoca di tangentopoli bastava un avviso di garanzia perché un dirigente politico si dimettesse, oggi si resta al governo pure con pesanti condanne penali.

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Giorgio Cremaschi
Anche la storia economica del nostro paese è costellata di pesanti interventi giudiziari. Scandali hanno colpito le partecipazioni statali e le imprese private, il sistema bancario e le pubbliche autorità. Ebbene, a conclusione degli interventi della magistratura gli interessi consolidati dei poteri forti più tradizionali, si sono sempre confermati e rafforzati. Sono stati invece sempre messi fuori gioco, quegli imprenditori e quelle imprese che puntavano ad aprire nuovi equilibri, ad affermare nuovi poteri. Non c’è nulla di positivo in sé nelle scalate al potere degli uomini nuovi. Tuttavia, il fatto che nella storia del nostro paese non ci sia mai stato un vero ricambio nelle classi imprenditoriali, e che tutti coloro che hanno tentato di farlo siano stati travolti dagli scandali, fa pensare. Così come fa pensare il fatto che l’Italia abbia perso posizioni strategiche nella competizione internazionale anche perché le aziende, spesso pubbliche, che quelle posizioni occupavano, sono finite in tribunale.
Oggi è difficile non collegare le inchieste che coinvolgono la Banca d’Italia con il fatto che le grandi multinazionali bancarie vogliono mettere le mani sul sistema finanziario del nostro paese, e non vogliono ostacoli al riguardo.

Questo vuol dire che c’è una magistratura che agisce su comando delle multinazionali e delle grandi famiglie italiane ad esse collegate? Certo che no. La magistratura fa il suo dovere, ma l’ambiente di contorno permette o impedisce che questo dovere sia compiuto fino in fondo. Se oggi esplode lo scandalo della Banca d’Italia è anche perché sono mature le condizioni perché ciò accada. Solo qualche anno fa un magistrato volenteroso sarebbe stato travolto. Ora non è così, perché il capitalismo italiano sta rimettendo ordine nel proprio cortile e lo fa, prima di tutto, spazzando via tutto ciò che dà fastidio. Gli immobiliaristi, i banchieri di provincia, i manager rampanti delle cooperative, sono outsider fastidiosi. Non c’è nessuna ragione per considerarli meglio di coloro con i quali si scontrano, ma in ogni caso i salotti buoni del sistema delle imprese si stanno ricomponendo, e gli esterni possono solo sperare di essere cooptati. Come sta tentando di fare il presidente del Consiglio che, evidentemente, pensa al suo futuro dopo la prossima probabile sconfitta elettorale.

A loro volta, le grandi multinazionali pretendono che il mercato italiano sia per esse amichevole e disponibile e non ci siano poteri veri di condizionamento sulle loro scelte. In questo contesto viene travolto il governatore Fazio, liberista ingenuo e un po’ furbone, che ha pensato che all’Italia fosse concesso quello che è normale negli Stati Uniti. Ove pochi giorni fa il “sistema paese” ha cacciato su due piedi un’azienda cinese che voleva comprare un’azienda petrolifera. Il libero mercato è solo il protezionismo dei più forti e l’Italia non sta tra essi.

Per questo c’è da temere che alla fine di questo scandalo economico-giudiziario, noi ci troveremo ancora più indifesi di fronte ai poteri delle multinazionali, alle loro alleanze con le tradizionali grandi famiglie, all’ideologia liberista che viene divulgata dai grandi organi di informazione, al dominio del mercato sulle nostre vite.

Per questo dovrebbe ora reagire la politica dei partiti e delle istituzioni democratiche e chiedere che del futuro del capitalismo italiano, fermi restando i compiti e i ruoli della Magistratura, si discuta nel parlamento e nel paese. Sia la democrazia, una volta tanto, ad affermare i suoi diritti e i suoi poteri, senza l’attesa subalterna e vana che sia il “libero” mercato a garantirli.