L’impresa italiana è da microscopio

Le dimensioni contano, almeno in campo economico, e non è certo una novità. Da diversi anni ormai le tendenze più significative in atto nel mondo degli affari sono le concentrazioni settoriali: fusioni, acquisizioni, integrazioni che danno vita a colossi industriali e finanziari capaci di trarre, attraverso la loro stazza, il massimo vantaggio rispetto ai loro competitori. «Le nozze d’acciaio» tra Arcelor e Mittal Steel, la super banca Intesa – Sanpaolo, ma anche gli innumerevoli piani di aggregazione tra compagnie aeree o il risiko del gas che imperversa tra Africa, Europa e Russia, sono solo alcuni esempi di una interminabile lista di operazioni finalizzate ad accrescere la massa «muscolare» degli operatori economici.
Quanto più sono grandi, tanto più le aziende riescono ad essere produttive a sostenere investimenti e ad imporsi nei mercati internazionali. Ma non è tutto, avere le spalle forti sembra anche essere una condizione imprescindibile per offrire migliori condizioni lavorative, sia in termini di salari che in termini di (più ridotti) orari di lavoro, e ad un maggior numero di dipendenti
La relazione diretta tra dimensione e performance è vera anche per l’Italia, come confermano i dati diffusi ieri dall’Istat sulla «Struttura e competitività del sistema delle imprese industriali e dei servizi» per il 2004. Tuttavia c’è da considerare che nel nostro paese le grandi aziende sono merce rara, anzi rarissima: in Italia infatti le imprese con meno di 10 addetti rappresentano quasi il 95% dell’intero tessuto produttivo. Nelle microimprese (definizione Istat) si concentra il 47,8% degli addetti, il 24,8% dei dipendenti ed il 31,6% del fatturato. All’opposto le imprese di maggiori dimensioni – con 250 e più addetti – sono appena 3.199 (pari allo 0,07%), ma assorbono il 18,3% del totale degli addetti il 27,7% dei dipendenti, e realizzano il 29,2% del valore aggiunto tutto italiano. La scarsità di grandi operatori è un’anomalia tutta italiana che, secondo molti, rappresenta un fattore di freno per l’intera economia. Questa riceve un’ulteriore conferma dai numeri forniti dall’Istituto nazionale di statistica: a fronte di una produttività nominale del lavoro la cui media è uguale a 37,9 mila euro (nel 2003 era 36,5 mila euro), per le microimprese questo valore è soltanto il 41,6% di quello delle imprese con almeno 250 addetti. La rilevanza della dimensione aziendale nel determinare il livello della produttività media del lavoro emerge anche dal confronto fra classi dimensionali contigue: l’incremento della produttività media è del 33,2% passando dalla fascia di imprese con 1-9 addetti a quelle con 10-19, e sale al 42,9% dalla prima classe a quella con 20-49 addetti. La produttività, inoltre, cresce di soli 0,6 punti percentuali nelle imprese con 1-19 addetti e di 2,1 punti in quelle con almeno 20 addetti; ciò determina un ampliamento del gap di produttività tra le microimprese e quelli con maggiori livelli dimensionali.
Un miglior indice di produttività, consente alle aziende di destinare maggiori risorse agli investimenti, che ancora una volta risultano direttamente correlati alle proporzioni aziendali: si parte infatti dai 4,2 mila euro per addetto nelle microimprese, per arrivare ai 13,1 mila euro in quelle con 250 e più addetti.
I vantaggi dimensionali non vanno a finire solo nelle tasche dei proprietari o degli azionisti delle aziende maggiori, ma arrivano anche ai lavoratori sotto forma di salari più alti e minori ore di lavoro prestate. I dipendenti delle piccolissime imprese, ad esempio, percepiscono una retribuzione pro-capite di 14,9 mila euro per una media di 1.682 ore. Se la passa molto meglio chi è impiegato in una azienda da almeno 250 addetti, che lavorando in media il 4,3% in meno si ritrova una busta paga sostanzialmente più pesante (26,2 mila euro).
La «legge del più grande» si smentisce solo analizzando la capacità delle imprese di produrre reddito, in questo senso le aziende più grandi dominano solo nel settore dell’industria in senso stretto. Mentre nelle costruzioni, come anche nei servizi, sono la imprese medio piccole con 10-19 addetti a presentare i migliori risultati, cioè quelle dove i lavoratori sono pagati meno per lavorare di più.
Un discorso a parte va fatto per le imprese che si affacciano sui mercati internazionali, le quali presentano una performance economica mediamente miglior di quelle orientate esclusivamente verso il mercato interno. In particolare la produttività del lavoro mostra un ampio differenziale a favore delle imprese che esportano soprattutto nelle classe 1-9 addetti (35 mila euro pro capite rispetto a 23,3 mila di medi). Si tratta prevalentemente di piccole strutture ma altamente specializzate che operano in campi molto dinamici e che sono capaci di assorbire, grazie ad una elevatissima produttività, i maggiori costi sistematicamente legati alle esportazioni.