Roma. “E’ un tentativo in extremis di ricucire il vestito strappato, la maggioranza del partito si è sfarinata e gli equilibri potrebbero saltare”. Questa è la spietata analisi che si fa negli ambienti di Sinistra critica, la minoranza del partito sempre più vicina alla scissione, della riunione segretissima, “pacata” e chiarificatrice, nella quale si confronteranno oggi gli esponenti della maggioranza bertinottiana. Pare che il segretario Franco Giordano sia “stufo” di leggere sui giornali (anche su quello del partito, Liberazione) le linee guida dettate “indirettamente” dal presidente della Camera, Fausto Bertinotti, e pare voglia mettere in chiaro le cose: compresi tempi e modi del processo di aggregazione a sinistra con Fabio Mussi e Oliviero Diliberto.
Il punto è che i dirigenti della maggioranza “sono in rotta. Senza contare che alle divergenze politiche si sommano i rancori personali”, dicono i bene informati. Si vocifera infatti che il sottosegretario Alfonso Gianni, vicinissimo a Gennaro Migliore e dunque nella barricata opposta a quella di Giordano e Paolo Ferrero, sia in collisione proprio con il ministro della Solidarietà sociale perché si aspettava che il dicastero andasse a lui. Allo stesso modo pare che Giordano sia “offeso a morte” con l’onorevole Ramon Mantovani, che non lo ha votato alla segreteria e lo ha più volte criticato, anche su Liberazione. Tira una brutta aria. Ma con le avvisaglie di una crisi di governo. paventata ieri da Giordano sulla Stampa, dovuta a un “‘irrigidimento di Padoa-Schioppa”, il conclave del Prc assume un’importanza particolare e appianare le divergenze diventa essenziale. Se infatti è chiaro che unitariamente il partito sostiene la necessità di cancellare lo scalone “come previsto nel programma”, è anche vero che i bertinottiani (ormai guidati da Migliore) credono molto nel progetto di una Sinistra unita e sanno che far cadere il governo ne sancirebbe la deriva, nonché, come insinuano i maligni, “il fallimento della ‘massa critica’ teorizzata al congresso di Venezia”, Ma alla componente più bertinottiana si contrappone l’intransigenza di Giordano che frena sull’unione a sinistra (“no al partito unico”) e sostiene – rigettando l’ipotesi “scalini” avanzata dal ministro Cesare Damiano – che lo scalone “va solo eliminato”.
E’ dunque chiaro che la formula con la quale Rifondazione si avvicinerà all’ipotesi della Sinistra unita influirà sul comportamento del partito nei confronti del governo e della questione pensioni (come dice il senatore Claudio Grassi, “più si sta con Mussi più diventa difficile lasciare Prodi”).
Ieri Mussi e Diliberto si sono incontrati e hanno lanciato a Rifondazione la proposta di un “grande evento unitario” per l’autunno, con la presentazione di liste comuni alle amministrative del 2008. Ma soprattutto, quasi rispondendo ai toni ultimativi di Giordano, hanno chiarito la necessità di “difendere la coalizione” ed “evitare atti” che possano mettere in crisi il governo. Mussi ha perfino detto che “se quella di Damiano fosse la proposta dell’esecutivo, ci sarebbero le condizioni per chiudere la trattativa”. Insomma la palla passa adesso a Rifondazione che con la riunione di oggi si muove, probabilmente, verso lo scioglimento delle riserve. Anche se i catastrofìsti, come il fuoriuscito Marco Ferrando, dicono che in realtà comunque vada il partito è in scacco: “Se non cedono sullo scalone, mandano a farsi benedire la Sinistra unita e fanno cadere il governo; se cedono, scontentano la base e rompono il rapporto con i metalmeccanici della Fiom”. Entro domenica la maggioranza del Prc dovrà cominciare a parlare una lingua unica e proporre una linea al comitato politico previsto per il 14 e 15 luglio. Per Giordano resta la speranza che a risolvere i problemi, in attesa di una resa dei conti congressuale, arrivi l’accordo tra Cgil e governo. Ipotesi che offrirebbe una dignitosa exit strategy.