Licenziamenti facili

Da oggi aggirare l’articolo 18 è possibile. Basta depotenziare le tutele dei lavoratori isolandoli nel contenzioso con i datori di lavoro e delegando la soluzione delle controversie agli arbitrati tra le parti invece che al giudizio di un magistrato. Basta stabilire sin dal contratto di assunzione (in deroga rispetto ai contratti collettivi) che qualsiasi controversia tra lavoratore e azienda sarà affidata a un arbitro e non a un giudice. Si tratta di una delle norme più preoccupanti del ddl lavoro, approvato dal Senato. Ma il ddl ne contiene molte altre, di norme che scardinano il diritto del lavoro e indeboliscono le tutele. Su Rassegna.it ce ne stiamo occupando da almeno un paio d’anni (in fondo all’articolo riportiamo i link ai servizi pubblicati sul tema).

Fior di giuristi hanno denunciato l’operazione finora sotterranea e vincente del governo e della maggioranza, ben attenti a non ripetere lo scontro frontale del 2002. La Cgil ha lanciato l’allarme da mesi. Per quanto riguarda le controversie di lavoro, tra cui quelle legate al trasferimento di azienda e al recesso – sottolinea il sindacato -, viene limitata la competenza del giudice e viene privilegiato il canale dell’arbitrato e della conciliazione. Come ha notato recentemente Lorenzo Fassina, dell’Ufficio giuridico della Cgil, si tratta di una norma “manifesto”, “il cui contenuto può essere considerato a ragion veduta assolutamente eversivo rispetto all’intero ordinamento giuslavoristico”. Una norma che sottrae “in una molteplicità di casi – argomenta Fassina -, la tutela dei diritti dei lavoratori alla giurisdizione ordinaria, nel cui ambito la specializzazione del giudice del lavoro era stata da sempre considerata un valore primario. Per di più – prosegue il giuslavorista – questa disposizione, per un verso, consente che gli arbitri decidano secondo equità (ossia senza il doveroso rispetto di leggi e contratti collettivi) e, per altro verso, stabilisce che la clausola compromissoria possa essere inserita anche all’atto della stipulazione del contratto individuale di lavoro certificato, vale a dire nel momento in cui è evidentemente più debole la posizione del lavoratore che aspiri all’occupazione” (leggi l’articolo integrale di Fassina).

Allarmi, convegni, dichiarazioni che però, fino a oggi, non avevano minimamente scalfito il muro del silenzio e del disinteresse. Ci ha pensato però un lodevole articolo pubblicato da Roberto Mania su Repubblica, a riaprire il dibattito. Le agenzie di stampa, risvegliate dal media mainstream, hanno catturato i commenti di dirigenti sindacali e politici, ampliando così l’informazione su un provvedimento sul quale finora le stanze insonorizzate del Palazzo avevamo messo un’efficace sordina.

Questa mattina il segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani, ha così ricordato che il ddl lavoro “porta sostanzialmente a una forma di arbitrato obbligatorio, che farebbe saltare le forme tradizionali delle tutele contrattuali e delle libertà dei lavoratori di poter ricorrere a queste scelte”. Si tratta, a suo avviso di “una vera e propria controriforma delle basi del diritto del lavoro italiano”. In questo modo, prosegue Epifani, “naturalmente si rende il lavoratore più debole. Se lo si fa addirittura nel momento del suo ingresso nel lavoro lo si segna per tutta la vita”. Epifani avverte che se il provvedimento sarà approvato “faremo ricorso se ci sono le condizioni di legittimità costituzionale”.

“Ogni volta che il Parlamento ha cercato di surrogare le parti sociali ha fatto danni”, ha detto invece il segretario generale della Uil, Luigi Angeletti. “Negli anni scorsi – prosegue – c’era l’intenzione di abrogare l’articolo 18, oggi si cerca di trasformare il reintegro in un rimborso, in una penale da dare al lavoratore. E’ diverso”. Ad ogni modo, dice Angeletti, “se i danni saranno seri non staremo con le mani in mano”. Simile il commento di Raffaele Bonanni (Cisl), secondo il quale “L’unica cosa da fare è affidare questa materia alle parti sociali. La politica regoli sé stessa, visto che è già abbastanza sregolata. Per le vicende sociali ci sono le parti sociali”.

E non si è fatta attendere la replica del ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi: “La polemica dei soliti noti su un testo di legge alla quarta lettura in Parlamento, dopo due anni di esame, è l’ennesima prova della malafede di chi vuole sempre accendere la tensione sociale”. Ne è convinto il ministro, secondo il quale “il lavoratore avrà la possibilità in più di ricorrere all’arbitrato e tutto sarà regolato dai contratti collettivi. Non per nulla, tutti tranne la Cgil hanno condiviso questa norma. Punto”.

Di altro parere le opposizioni. Secondo l’ex ministro del Lavoro Cesare Damiano (Pd), “il governo sta minuziosamente smantellando il diritto del lavoro, in questo caso è evidente che si voglia indebolire la posizione del lavoratore”.”Ci troviamo di fronte – spiega Damiano – a una serie di atti che vanno in una unica direzione: non si adotta più la strategia dell’attacco frontale, ma quella dell’inIziativa mirata, chirurgica. E’ solo un falso modo per coinvolgere le parti sociali”.

“Ci opporremo in Parlamento con tutte le nostre forze contro questa deriva degna di un regime autoritario”. Lo affermano in una nota congiunta, il presidente dell’Italia dei Valori, Antonio Di Pietro e il responsabile welfare e lavoro, Maurizio Zipponi. “Prima – proseguono – il ‘ministro del non lavoro’ Sacconi ha incentivato la precarietà per i giovani. Poi il ministro Brunetta li ha chiamati ‘bamboccioni’ perché non vanno via di casa in cambio di un contratto precario di 500 euro al mese. Infine, per chiudere il cerchio, vogliono impedire a un lavoratore di rivolgersi ad un magistrato per la tutela dei suoi diritti”.

Davide Orecchio