Libia: quello che i media nascondono

Traduzione dal portoghese di l’Ernesto online

*Miguel Urbano Rodrigues (1925), figura storica del comunismo portoghese, è un noto giornalista e scrittore, autore di decine di pubblicazioni. In passato e’ stato caporedattore di Avante, organo del Partito Comunista Portoghese e direttore del giornale O Diario. E’ stato deputato del PCP nell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa. Tra gli editori di Odiario.info (a cui collaborano prestigiosi intellettuali progressisti di molti paesi, tra cui Domenico Losurdo), dirige oggi l’autorevole sito antimperialista Resistir.info.
Trascorse due settimane dalle prime manifestazioni a Bengasi e a Tripoli, la campagna di disinformazione sulla Libia sta seminando la confusione nel mondo.

Una cosa è certa: le analogie con i fatti di Tunisia ed Egitto non sono ragionevoli. Queste ribellioni hanno contribuito, ovviamente, a innescare le proteste nel paese vicino a entrambi, ma il processo libico presenta caratteristiche peculiari, inseparabili dalla strategia cospirativa dell’imperialismo e da ciò che può essere definito la metamorfosi del leader.

Muammar Gheddafi, al contrario di Ben Ali e Hosni Mubarak, assunse una posizione antimperialista quando prese il potere nel 1969. Abolì una monarchia fantoccio e praticò per decenni una politica di indipendenza iniziata con la nazionalizzazione del petrolio. Le sue eccentricità e il fanatismo religioso non hanno impedito una strategia che ha promosso lo sviluppo economico e ha ridotto disuguaglianze sociali scioccanti. La Libia si è alleata a paesi e movimenti che combattevano l’imperialismo e il sionismo. Gheddafi ha fondato università e industrie, un’agricoltura fiorente è sorta in aree del deserto, centinaia di migliaia di cittadini hanno ottenuto per la prima volta il diritto ad alloggi degni.

Il bombardamento di Tripoli e Bengasi nel 1986 da parte dell’USAF ha dimostrato che Reagan, alla Casa Bianca, identificava nel leader libico un nemico da abbattere. Al paese vennero applicate sanzioni pesanti.

A partire dalla II Guerra del Golfo, Gheddafi ha impresso una virata di 180 gradi. Si è sottomesso alle esigenze del FMI, ha privatizzato decine di imprese e ha aperto il paese alle grandi imprese petrolifere internazionali. La corruzione e il nepotismo hanno messo le radici in Libia.

Washington ha cominciato a vedere in Gheddafi un dirigente dialogante. E’ stato ricevuto in Europa con onori speciali: ha firmato contratti favolosi con i governi di Sarkozy, Berlusconi e Brown. Ma quando l’aumento dei prezzi nelle grandi città libiche ha provocato un’ondata di malcontento, l’imperialismo ha approfittato dell’opportunità. Ha concluso che era arrivato il momento di liberarsi di Gheddafi, un leader sempre scomodo.

Le ribellioni della Tunisia e dell’Egitto, le proteste nel Bahrein e nello Yemen hanno creato condizioni molto favorevoli alle prime manifestazioni in Libia. Non è per caso che Bengasi rappresenti un polo di ribellione. E’ in Cirenaica che operano le principali multinazionali petrolifere, lì sono localizzati i terminali degli oleodotti e dei gasdotti.

La brutale repressione scatenata da Gheddafi dopo le prime proteste popolari ha contribuito a far si che queste si ampliassero, soprattutto a Bengasi. Oggi si sa che in queste manifestazioni ha svolto un ruolo importante il cosiddetto Fronte Nazionale per la Salvezza della Libia, organizzazione finanziata dalla CIA. E’ illuminante il fatto che in quella città siano stati innalzati rapidamente la vecchia bandiera della monarchia e i ritratti dello scomparso re Idris, il capo tribale Senussi incoronato dall’Inghilterra dopo l’espulsione degli italiani. E’ apparso persino un “principe” Senussi a concedere interviste.

La solidarietà dei grandi media degli USA e dell’Unione Europea con la ribellione del popolo della Libia è, perciò, ovviamente ipocrita. Il “Wall Street Journal”, portavoce della grande Finanza mondiale, non ha esitato a suggerire in un editoriale (23 febbraio) che gli Stati Uniti e l’Europa dovrebbero aiutare i libici a rovesciare il regime di Gheddafi.

Obama, nell’attesa, ha mantenuto il silenzio sulla Libia per sei giorni; al settimo ha condannato la violenza, ha chiesto sanzioni. E’ seguita la riunione di emergenza del Consiglio di Sicurezza dell’ONU e lo sperato pacchetto di sanzioni.

Alcuni dirigenti progressisti latinoamericani hanno segnalato come imminente un intervento militare della NATO. Tale iniziativa, pericolosa e stupida, produrrebbe un effetto negativo nel mondo arabo, rafforzando il sentimento antimperialista latente nelle masse. E’ sarebbe militarmente non necessario perché il regime libico apparentemente è agonizzante.

Gheddafi, nel promuovere una repressione violenta, ricorrendo anche a mercenari del Ciad (stranieri che non parlano neppure arabo), ha contribuito ad amplificare la campagna dei grandi media internazionali che descrive come eroi gli organizzatori della ribellione, dal momento che egli è presentato come un assassino e un paranoico.

Anche gli ultimi discorsi del leader libico, irresponsabili e aggressivi, sono stati abilmente utilizzati dai media per gettare discredito e stimolare le dimissioni di ministri e diplomatici, allontanando sempre più Gheddafi dal popolo che per decenni lo aveva rispettato e ammirato.

In questi giorni non si può prevedere il domani della Libia, il terzo produttore di petrolio dell’Africa, un paese le cui ricchezze sono già ampiamente controllate dall’imperialismo.