Libia, il banco di prova del neo-interventismo USA

Traduzione di Diego Angelo Bertozzi per l’Ernesto online

* Sheng Xiaoquan è ricercatore del Centro di Studi dei problemi mondiali, dell’agenzia Xinhua

La situazione della guerra in Libia mostra che se non si fosse ottenuto il coordinamento e l’appoggio dei paesi occidentali su tutti i piani, l’opposizione libica non avrebbe potuto sconfiggere le forze governative e rovesciare il regime di Gheddafi. Dimostra nuovamente che l’Occidente non esita nell’intervenire negli affari interni degli altri paesi con ogni mezzo, compreso il ricorso alla forza armata, per assicurare i suoi interessi internazionali. Ma l’intervento attuale in Libia presenta delle nuove caratteristiche. Possiamo dire che la Libia è il banco di prova del neo-interventismo dell’Occidente.
I disordini sociali che sono scoppiati all’inizio del 2011 in Libia sono all’origine dei conflitti militari del paese. La Francia, la Gran Bretagna e gli altri Paesi dell’Europa occidentale nutrivano da tempo l’intenzione di rovesciare il regime di Gheddafi. I disordini libici hanno fornito loro l’occasione propizia. Tuttavia questi paesi non hanno agito immediatamente, timorosi di alienarsi l’opinione internazionale. Hanno dunque lavorato attivamente per spingere il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ad adottare una risoluzione che autorizzasse l’uso della forza. Il 17 marzo, il Consiglio di Sicurezza ha adottato la risoluzione 1973 sulla creazione di una “zona di esclusione aerea”. Due giorni dopo, le forze aeree francesi hanno cominciato i raid. In seguito, le operazioni militari della Nato hanno superato considerevolmente i limiti autorizzati dall’Onu, trasformando la protezione della popolazione con lo stabilimento di una zona di esclusione aerea in una guerra tendente all’obiettivo di rovesciare il regime di Gheddafi per mezzo di attacchi aerei.
Quantunque la Francia sia il paese più zelante nell’intervento in Libia, ha sostenuto che l’autorizzazione dell’Onu fosse la condizione preliminare per un intervento militare. Con tutta evidenza si augurava la legalizzazione del suo intervento. Tutto ciò si inscrive in evidente contrasto con le guerre lanciate dalla Nato in Kosovo e la guerra di Washington in Iraq. Queste due guerre non sono state approvate dall’Onu. La loro legittimità è sempre stata contestata largamente dalla comunità internazionale e costituisce dunque una pagina poco gloriosa nella storia delle relazioni internazionali.

Dopo la fine della guerra fredda, alcuni paesi occidentali si sono immischiati negli affari dei paesi in via di sviluppo con il pretesto di incoraggiare la “democratizzazione”. La “primavera araba” che si è verificata in Asia occidentale e in Africa del Nord ha provocato delle agitazioni politiche. In nome della “democratizzazione”, l’Occidente cerca di dirigere i paesi nella via di sviluppo che ha tracciato. Dei disordini sociali erano appena scoppiati in Libia che subito l’opinione occidentale ha dichiarato che si trattava di insurrezioni delle masse popolari contro la dittatura e la democrazia. Il bersaglio era Gheddafi in persona. Il fatto che costui abbia deciso di inviare delle truppe per fermare l’opposizione ha dato un pretesto ai paesi occidentali per organizzare un intervento militare.
Se, in questi ultimi anni, l’Occidente è ricorso a dei mezzi più o meno dissimulati di “rivoluzioni di colore” per promuovere la “democratizzazione”, la guerra di Libia è il modello della “democratizzazione” realizzata direttamente con l’uso delle armi.
All’inizio, i ribelli ammassati nell’est della Libia erano molto male organizzati e non potevano resistere al regime di Gheddafi sia sul piano politico che militare. L’Occidente sapeva si sarebbe dovuta formare una forza politica e militare in grado di ribaltare il regime. I sei mesi di guerra sono stati segnati dal processo di formazione di questa forza d’opposizione. A metà marzo, Gheddafi ha deciso di inviare unità d’élite dell’esercito, la 32° brigata, per reprimere la rivolta di Bengasi. L’opposizione era vicina alla sconfitta. Il ministro francese degli Esteri Alain Juppé è partito alla volta di New York. Dopo continui sforzi, ha infine convinto il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ad adottare la risoluzione 1973 che autorizzava il ricorso alle armi. In quel momento le forze armate governative si trovavano a 20 km da Bengasi. In questo momento critico, l’aviazione militare francese ha lanciato attacchi contro queste impedendo efficacemente l’offensiva. Se l’intervento francese fosse stato ritardato di diverse ore, Bengasi sarebbe stata ripresa dalle forze governative. La rapida azione dei paesi occidentali ha salvato la forza d’opposizione.
I media occidentali hanno rivelato che mentre la Nato bombardava massicciamente l’esercito libico, la Gran Bretagna e la Francia fornivano un intensivo addestramento alle forze antigovernative che non sapevano come maneggiare le loro armi, e hanno loro fornito quantità di armi moderne e equipaggiamenti di telecomunicazione. Di conseguenza queste hanno rapidamente guadagnato in potenza e sono diventate sempre più combattive. Ormai potevano riportare vittorie su vittorie nei combattimenti contro le forze governative. Secondo il Daily Telegraph, un commando anglo-francese è stata paracadutato in Libia già molto tempo fa per addestrare le forze antigovernative, dare consigli militari e coordinare le loro operazioni.
L’Occidente ha anche sostenuto l’opposizione sul piano politico e preparato attivamente il programma politico post Gheddafi. La Francia ha proposto la creazione, dopo la caduta di Gheddafi, di un organo dirigente politico largamente rappresentativo. Ha preconizzato che il Consiglio nazionale di transizione coinvolgesse gli alti ufficiali e gli alti funzionari moderati del regime di Gheddafi. Per questo fine, un rappresentate ufficiale francese ha comunicato frequentemente con personalità dell’opposizione e con elementi moderati del regime d Gheddafi, e ha intrattenuto con essi contatti segreti.
I rappresentati dei tre partiti hanno avuto diversi abboccamenti a Parigi. Il governo britannico ha aiutato l’opposizione libica a formulare il progetto costituzionale, a organizzare le elezioni generali e a realizzare la transizione del potere senza scossoni.
Secondo le dichiarazioni pubbliche dei dirigenti del Consiglio nazionale di transizione a proposito del trattamento di Gheddafi, delle sistemazioni future e dalla politica estera del paese, l’opposizione ha già messo a punto un piano minuzioso e sicuro per l’avvenire del paese per evitare la comparsa di disordini prolungati dopo la guerra, come in Iraq. La “maturità politica” dell’opposizione libica è evidentemente il risultato della preparazione del sostegno occidentale.
La guerra di Libia diretta dalla Nato è una “guerra limitata”, vale a dire che le sue operazioni militari si limitano agli attacchi aerei e marittimi, senza la partecipazione diretta di forze terrestri. L’assenza della partecipazione diretta degli Stati Uniti è il tratto distintivo di questa guerra. Il settimanale americano Time stima che la guerra di Libia costituisce un nuovo tipo di intervento militare al quale gli Stati Uniti potrebbero ricorrere ulteriormente all’estero, una tipologia che potrebbe permettere loro di ottenere il risultato migliore con costi minori.
La partecipazione limitata degli USA a questa guerra ha permesso a Gran Bretagna e Francia di dirigere le operazioni della Nato. Secondo un esperto militare della Nato, questi due paesi sono dei paesi di media potenza dal punto di vista militare in rapporto agli Stati Uniti. Il fatto che possano dirigere le operazioni militari come forze principali, e raggiungere lo scopo non scontato in un lasso di tempo relativamente breve prova che l’Europa occidentale è in grado di condurre operazioni militari di apertura. Questo è molto importante per l’ulteriore partecipazione dell’Europa negli affari di sicurezza nella regione o in altre parti del mondo, così come per il futuro dell’Alleanza atlantica.