LIBIA Gli «effetti collaterali» che non vogliamo vedere

I «bombardamenti mirati» che promettono Berlusconi e il ministro La Russa semplicemente non esistono. Memoria dei tanti «effetti collaterali» del Kosovo a parte, basta guardare quanto accade ogni giorno in Afghanistan e Pakistan, dove proprio le stragi di civili provocate dai «raid mirati» hanno prodotto una crisi radicale tra le leadership di Kabul e di Islamabad e le forze bombardanti della Nato e degli Stati uniti. Delegittimando quella guerra agli occhi stessi degli afgani che bisognava liberare e, alla fine, riaccreditando la necessità della trattativa con gli odiati taleban.
Ma non serve andare così lontano. Gli stessi bombardamenti effettuati dalle forze anglo-francesi in Libia ormai da un mese e mezzo, addirittura nelle ore precedenti il voto della Risoluzione 1973 dell’Onu, mostrano gli stessi risultati: effetti collaterali con tante vittime civili – che non contano – nelle città sotto controllo di Gheddafi e tanti «fuochi amici» contro gli insorti. Quanto alle forze militari colpite, siamo al 30% forse 40%, dicono i comandi statunitensi. Risultati scarsi, con la guerra che resta in stallo, anche a Misurata, e in un tira e molla sanguinoso in Cirenaica intorno ai siti preziosi del petrolio. «Non colpiremo le città», promette l’ineffabile La Russa. Eppure le caserme del regime libico sono spesso all’interno delle città. Compresa quella di Gheddafi a Bab Al Azizia, dove il suo quartier generale è dentro l’omonimo quartiere.
Lì in questi giorni si scatena la mira dei raid aerei. E, siccome è certo che Gheddafi non aspetta le bombe, il messaggio è chiaro: possiamo-vogliamo ucciderlo. Ma, come ha spiegato perfino il giurista ed esperto di diritto internazionale Antonio Cassese, spesso favorevole a tante guerre «umanitarie», «uccidere Gheddafi non sta scritto nella risoluzione dell’Onu». Sennò aveva ragione Ronald Reagan già nel 1986 con i raid «mirati» su Tripoli e Bengasi per uccidere Gheddafi e che invece provocarono il massacro di più di cento civili.
Nella Risoluzione Onu c’è solo la volontà di «proteggere i civili quando sono in pericolo», non quella di ucciderne altri dall’alto dei cieli o di armare gli insorti. Come non è previsto l’intervento di terra che ora torna all’ordine del giorno. Ci vorrebbe una nuova risoluzione.
Ecco che allora torna utile l’asse interventista Parigi-Roma, rinnovato alla luce del vertice sarkoberlusconista di ieri, dove il decisionismo scenografico dei poteri, tradizionale nel rilanciare i due leader alle prese con profonde crisi interne, arriva ad ammantarsi di giustificazioni nella scelta di scendere sempre più nel baratro della guerra. Tanto più se è sostenuto dall’alto. Vale a dire dal presidenzialismo democratico di Napolitano e di Obama. Devastato quel che resta dell’Unione europea che è solo una moneta che domina su una democrazia ormai vacillante in ognuno dei paesi che la compongono, con la Germania fuori da questa guerra, questo legame perverso poggia il suo fondamento nella convinzione di tornare a controllare con un protettorato istituzionale le turbolente terre di mezzo dell’Oriente ricco di materie prime (neo o post colonialismo, politica di dominio con la forza, esportazione della democrazia con le armi, imperialismo di ritorno che copre il vuto della politica, chiamatelo come volete…).
E intanto, subito, nella necessità di ridisegnare Schengen, per costruire un argine, una nuova fortezza europea, contro la dimensione cogente del problema immigrazione. Che deve riguardare sia l’arrivo dei migranti «tradizionali», quelli derivati dall’esplodere delle crisi sociali del Nordafrica e del sistema diseguale della globalizzazione, ma soprattutto i più temuti all’ordine occidentale, perché bisognosi di una legittima tutela d’asilo, vale a dire tutti i rifugiati nordafricani che in Libia vivevano, per arrivare ai libici stessi ormai in fuga dalla guerra interna e da quella della Nato. Poi alle destre estreme e xenofobe come la Lega, che non vogliono la guerra non perché siano pacifiste ma solo perché devono insediare il potere nelle loro piccole patrie, spiegheremo che la guerra serve a fermare le invasioni migranti.
Il più è fatto, perché nessuno si oppone a questo disegno e anzi, in Italia, ancora una volta il Pd puntualmente si dichiara pronto a continuare nello scambio di favori all’ombra della «guerra costituente»: il voto di Forza Italia che sostenne Prodi nella crisi del Kosovo nel 1999, poi il voto dei Democratici per l’intervento in Afghanistan del governo Berlusconi nel 2001, e via sostenendo. Con risultati fallimentari.
Così per mandare via Gheddafi servirebbe in Libia più diplomazia e corridoi umanitari sul campo come chiede Emergency, più soccorsi a mare per i profughi. Invece avremo più guerra e blocco navale. Comunque il più è fatto. Perché è stato instillato il terrore per l’«invasione» dei migranti ma non quello per la guerra. Senza vedere che tra i due fenomeni c’è più che una stretta relazione.