Libia e Italia. “Il gesto di Calderoli ha riacceso vecchi rancori”

La vicenda delle vignette danesi e le conseguenti manifestazioni di protesta all’interno del mondo arabo, hanno alimentato il dibattito politico delle ultime settimane. La seguente inopportuna provocazione del leghista Calderoni è stata, di fatto, la miccia che ha fatto esplodere gli scontri a Bengasi di fronte l’Ambasciata italiana, che hanno provocato la morte di undici persone.
Ma siamo veramente convinti che la politica internazionale sia, in fondo, uno freddo gioco di causa ed effetto come sembra dalle cose testé dette? Pensiamo veramente che il mondo arabo non aspetti altro che mosse false del cosiddetto Occidente per innescare il tanto ripetuto “conflitto di civiltà”?

Il Professore Massimiliano Cricco è docente di Relazioni Internazionali presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Urbino; lo abbiamo incontrato a Catania in occasione di un Congresso, organizzato dall’Università e dall’Associazione Se.Sa.Mo. (Società per gli Studi sul Medio Oriente) dal 23 al 25 febbraio, dal titolo “Spazio privato, spazio pubblico e società civile in Medio Oriente e in Africa del Nord”. A lui abbiamo posto queste due domande, riferendole, nello specifico, a ciò che è accaduto in Libia.

“Le ragioni della rivolta di Bengasi –ci dice- non sorgono ieri, ma nascono in gran parte come reazione postuma alla politica coloniale italiana in quel paese, soprattutto negli anni del fascismo.
Nel ventennio, la colonizzazione fu vista da due angolazioni differenti: per gran parte degli italiani aveva dei risvolti positivi, come un processo che avrebbe portato una nuova civiltà (strade, costruzione di nuovi edifici ecc); i libici, al contrario, la subirono come una aggressione. In quelle terre lo scontro fu molto duro: si formò una vera e propria resistenza, con un gruppo molto forte al proprio interno costituito dalla Confraternita dei senussi. Tutto il popolo, comunque, vi partecipò in diverso modo. Ci fu, dunque, una grande rivalità tra quelle che erano le tribù e le confraternite locali, con gli italiani che, alla fine, ebbero la meglio, sconfiggendo la resistenza e uccidendo il suo leader più prestigioso, l’eroe nazionale Omar al-Mukhtar.
La colonizzazione poi, si concretizzò in una reale rapina del territorio, oltre che in una vessazione, dal punto di vista politico, in quanto queste confraternite furono di fatto ridotte al silenzio.

Ma come mai questo, evidentemente giusto, rancore scoppia adesso?

Bè, dopo la liberazione vi fu un periodo di calma, di pacificazione. Durante il regno di re Idris, nel 1956 vi fu l’importante accordo italo-libico, che prevedeva anche simbolicamente la restituzione, da parte del governo dell’Italia repubblicana, di 5 milioni di sterline come risarcimento per i soprusi compiuti in epoca coloniale. Inoltre, si instaurò una sorta di politica commerciale privilegiata tra Italia e Libia. Sarà Gheddafi, andato al potere nel 1969, a soffiare di nuovo sul fuoco dell’inimicizia tra Italia e Libia e, attraverso una serie di discorsi roboanti, porterà ad esacerbare gli animi dei libici. Addirittura, sarà istituita la “giornata della vendetta” contro gli italiani. Per il suo atteggiamento di ostilità contribuirono anche vicende personali: sembra, infatti, che suoi familiari morirono a causa degli italiani e che lui stesso da bambino, giocando con una mina, restò ferito. Allo stesso tempo, però, Gheddafi mantenne i rapporti economici con l’Italia facendo, tutto sommato, buoni affari.

Pensa, dunque, come da alcune parti è stato detto, che dietro la rivolta di Bengasi ci sia il leader libico?

Dire che dietro quella rivolta ci sia Gheddafi sarebbe una improprietà ma, indirettamente, credo si posa affermare che abbia avuto un ruolo. Di fatto, Gheddafi non ha fatto nulla in questi anni per smorzare i toni di rivalsa verso gli italiani. Certo, negli ultimi anni ci sono state delle aperture, si pensi alla trasformazione della “giornata della vendetta” in “giornata dell’amicizia”, ma recentemente i toni si sono riaccesi. C’è sempre un atteggiamento un po’ ambiguo del governo libico.

Ma se questo è vero, come si spiegherebbe allora la dura repressione delle autorità libiche?

Sicuramente il governo, per mantenere buoni rapporti internazionali e, in specie, con l’Italia, deve mantenere l’ordine. Da dire tuttavia che, molto probabilmente questi morti sono stati causati dall’inesperienza e dall’impreparazione dei soldati; non c’è stato un ordine dall’alto di sparare contro la folla. Tuttavia, questo sentimento acceso di anti-italianità, di ostilità, di diffidenza c’è nella società libica; e lo stesso Gheddafi, pur essendo un animale politico molto intelligente, potrebbe cavalcare l’onda della protesta, anche per mantenersi a galla. Quindi lui, da un lato deve mantenersi equilibrato rispetto alla comunità internazionale, ma, dall’altro, non può dissociarsi completamente da quello che la massa chiede, visto che egli stesso l’ha animata dall’inizio per legittimare il suo potere. Questo, ovviamente produce il nazionalismo che, se in Iraq, ad esempio, assume dei connotati anti-americani, qui non può che rivolgersi contro l’Italia.

Calderoni, comunque, ha dato il la.

Certo, un ministro non dovrebbe prendere certe iniziative e avere, al contrario, maggiore responsabilità; ma la sua presa di posizione si è trasformata in una miccia che ha acceso ricordi più antichi.

Secondo lei come si esce da questa vicenda?

Credo che bisognerebbe moderare i toni e valorizzare, al di là degli episodi contingenti, la parte per cosi dire buona dei rapporti tra i due paesi, perché non tutti i libici sono così nettamente schierati contro gli italiani.