“Libero” – I pretestuosi attacchi a Dario Fo

Cara “Liberazione”, la brutta, e anche abbastanza stupida, speculazione, stlle fascista, che “Libero” ha messo in piedi, a puntate e addirittura a quattro mani, contro Fo, prendendo a pretesto l’opera “Vorrei morire” scritta nel lontano 1970 e da lui mandata in scena appunto allora, mi ha colpito per la sua pretestuosità, la cattiveria, lo scoperto tentativo di gettare gratuitamente fango su un grande uomo di teatro, solo perché colpevole di essere “rosso”.
Dario Fo, naturalmente, ha tutti i mezzi per difendersi da solo, e certamente lo farà. Quello che mi preme dire è che, collocata nel suo tempo, non trovo nemmeno una virgola da cambiare né in quella “Ricerca e documentazione sulla resistenza palestinese”, che fa da appendice alla pubblicazione dell’opera; né tantomeno nella poesia che fa da coro nell’opera medesima. Una poesia bella e forte, che ricorda Brecht o Nazim Hikmet; una poesia semplice, la famosa “cosa facile che è difficile fare”: «ricordati che devi imparare fedayn, imparare a combattere fedayn, ma anche a pensare, fedayn». Ricordati fedayn, compagno o fratello, nero bianco indio che tu sia, sfruttato e oppresso di ogni parte del mondo, ricordati che dobbiamo imparare, tutti noi, a combattere e soprattutto a pensare. Ricordati.

Era bello crederci e “starci”, già, “venni tra gli uomini al tempo della ribellone e mi ribellai con loro”…

Vedo i sorrisi di compatimento, l’ironia villana, le solite accuse di veterocomunismo e peggio, ma chi se ne infischia. Siamo ancora in tanti, io credo – nonostante gli sghignazzi di “Libero” e simili e le facili abiure oggi di moda – a non rinnegare niente della nostra lotta per la liberazione e la dignità degli uomini e dei popoli. Dalla parte dei neri del Sudafrica, degli algerini contro il colonialismo francese, a fianco di Che Guevara, di Martin Luther King, di Ho Chi Min, di Giap, E sì, che pazzi, dalla parte della Comune di Parigi e dell’Aurora che sparava sul palazzo d’Inverno; e della Resistenza, così che la poesia-coro di Fo ce ne rcorda un’altra, altrettanto bella e forte, quella dedicata al “camerata Kesserling”. Inguaribili testardi che non hanno cessato di voler imparare a combattere e a pensare. Va bene, è stata anche una via lastricata di errori e sconfitte, ma niente ci farà rimpiangere di avere indossato, e di indossare ancora, quella kefia palestinese che è stata, ed è, il simbolo di una grande lotta per land and freedom. Terra e libertà.

Quanto alla ricostruzione storica della vicenda che ha portato alla formazione dello stato d’Israele, che c’è da negare? E’ andata proprio così, la brutta storia della spartizione, siglata il 29 novembre 1947, «contro la volontà di tutti i paesi africani e asiatici, eccetto il razzista Sud Africa, Haiti, le Filppine e la Liberia. E si ebbe naturalmente una reazione araba». Proprio così, e cominciò allora, la strada insanguinata verso il traguardo “Due popoli due stati” non ancora raggiunto.

La Storia va tenuta a mente, e ripassata, qualche volte. E in questo senso, ri-pubblicando ampi stralci della documentzione “foniana” anni ’70, “Libero” ha involontariamente reso un buon servizio, diciamo un istruttivo pro-memoria. Grazie (lo so lo so, sono trinariciuta…)

p. s. “Vorrei morire”, edizione aggiornata e riveduta con la collaborazione dell’attore Mario Pirovano mandata in scena ai giorni nostri, non contiene (giustamente) i brani più duri e polemici verso lo stato d’Israele.