Incontro con il leader degli Ulema Al Qubaisi: «Il lavoro della vostra collega è sempre stato contro l’occupazione del nostro paese»
«Sono ottimista sul fatto che Giuliana sia trattata bene, chiunque sia stato a rapirla, ma temo che per arrivare ad una sua liberazione potrebbero essere necessari tempi lunghi»
«Maggiore cautela da parte del governo italiano, a cominciare dal premier, che dovrebbe astenersi da dichiarazioni che possono recare danno alla vostra collega»
«Siamo impegnati in prima persona non solo per far cessare questo sequestro ma tutti gli atti di questo tipo. Sono ottimista sul fatto che Giuliana sia trattata bene, chiunque sia stato a rapirla, ma allo stesso tempo temo che per arrivare ad una sua liberazione potrebbero essere necessari tempi piuttosto lunghi. In ogni caso servirebbe una maggiore cautela da parte del governo italiano, a cominciare dal primo ministro, che dovrebbe astenersi da dichiarazioni che potranno anche far piacere a George Bush ma che invece qui potrebbero recare danno alla vostra collega. Per quanto ci riguarda abbiamo chiesto, come Associazione degli Ulema, la sua immediata liberazione e abbiamo informato tutti i nostri rappresentanti sparsi nel paese e tutti coloro che potrebbero essere parte della vicenda, del tipo di lavoro svolto da Giuliana «convergente con i nostri sforzi per porre termine all’occupazione e per denunciare le sofferenze del nostro popolo». Sheik Abdul Salam al Qubaisi, uno dei più importanti esponenti dell’Associazione degli Ulema, che raggruppa oltre 3.000 moschee sunnite in tutto l’Iraq, già impegnatosi in passato per la liberazione delle due Simone e di molti altri ostaggi, ci riceve brevemente nella grande moschea di Um al Qura, alla periferia di Baghdad, nel quartiere di al Gazaliyah, lungo la strada per abu Ghraib, Ramadi, Falluja, il cuore della resistenza all’occupazione. La grande cupola blu della moschea è visibile a grande distanza sopra una sterminata distesa di casette giallastre, al massimo di due piani, piuttosto benestanti, anche se l’immondizia dilaga a tal punto che in molti terreni incolti vi sono greggi di pecore al pascolo tra le cartacce. La gran parte degli abitanti della zona attorno alla moschea, costruita dal passato regime dopo la prima guerra del Golfo, è costituita da ufficiali e funzionari del disciolto esercito iracheno ai quali il regime aveva dato la possibilità di costruirsi una casa in periferia, soprattutto quella ovest e sud, regalando loro un appezzamento di terra e i materiali di costruzione. Ci siamo appena seduti nella sala degli incontri con la stampa quando dalla vicina strada per l’aeroporto rimbombano due enormi esplosioni, forse due autobomba lanciate contro un qualche convoglio americano. Tutti continuano a meravigliarsi della guerra che infuria ormai da due anni lungo circa una quindicina di chilometri di questa autostrada per l’aeroporto, in parte urbana, senza riflettere che forse gli abitanti del vicino quartiere di Ameriya – dove una bomba Usa nel febbraio del 2005 fece strage all’interno di un rifugio antiaereo di quasi mille anziani, donne e bambini, lasciando di alcuni di loro solo l’ombra sulle pareti – forse potrebbero anche avere delle buone ragioni per non amare particolarmente l’esercito americano. Lo sheik Abdel Salam al Qubaisi è molto impegnato ma ha insistito per venire comunque ad incontrarci prima di una riunione del Consiglio degli Ulema: «Il nome, e non solo il nome di questo gruppo, del tutto sconosciuto, che ha rivendicato il rapimento di Giuliana – ci dice l’esponente sunnita – mi fa dubitare che sia parte della resistenza ma se per caso, in qualche modo se ne ritenesse parte, o comunque se fossero sensibili agli appelli che vengono dalle moschee, allora dopo la nostra presa di posizione a favore del rilascio della giornalista italiana, che stava facendo un lavoro meritevole per far conoscere al mondo le nostre sofferenze, dovrebbero liberarla senza esitazioni». La grande moschea, che sorge su una vasta area ed è composta di numerosi edifici, con la cupola e i minareti di marmo e mattonelle blu, è semideserta. Il cielo è basso, plumbeo, carico di pioggia e in giro si vedono solo uomini armati del servizio di sicurezza mentre, provocatoriamente gli elicotteri americani, a pochi minuti dalle due esplosioni, passano bassisimo, quasi a spolverare la cupola, facendo un rumore assordante. Lo sheik Abdel Salam al Qubaisi, dopo essersi augurato una positiva conclusione del rapimento di Giuliana, deve lasciarci per una importante riunione e continuiamo la nostra chiacchierata con il portavoce dell’Associazione degli Ulema, sheik Omar Ragheb, vestito in un elegantissimo completo fumo di Londra, barba ben curata, occhiali dorati, capelli corti: «Siamo molto dispiaciuti, sappiamo quel che stavate facendo qui a Baghdad e ci dispiace che la parte migliore del popolo italiano viva questi momenti di angoscia». «In secondo luogo – continua poi dopo aver risposto ad una telefonata urgente – questa storia dei rapimenti ha gettato già troppo fango sull’opposizione e sulla resistenza irachena agli occhi dell’opinione pubblica mondiale e stiamo lavorando per cercare di chiudere positivamente non solo questa vicenda ma l’intero capitolo, una volta per tutte». Andando più nel concreto l’esponente sunnita sostiene poi che molti sono i possibili autori dell’ondata di rapimenti che ha investito l’Iraq: «Dai settori legati a vari servizi stranieri i quali, sia con i rapimenti, sia con gli omicidi politici, hanno interesse ad una destabilizzazione dell’Iraq», in secondo luogo «gruppi criminali di ogni tipo» e in ultimo «alcuni gruppi della resistenza, o che si considerano tali, che così pensano di esercitare pressioni sui governi che occupano il nostro paese e accelerare il ritiro delle truppe». «Noi invece siamo convinti – continua sheik Omar – che dal punto di vista dell’Islam, e non solo sotto il profilo dell’opportunità politica, sia immorale colpire il debole per punire il forte. In altri termini non è giusto punire un civile, se non è parte delle strutture militari, per colpire un contingente di occupazione. Nessuno ha il diritto di rapire un italiano, soprattutto se venuto qua per svolgere il lavoro di giornalista, per un torto commesso invece dal suo governo». Poi, con un moto di reale disappunto, sheik Omar esprime tutta la frustrazione degli Ulema stretti tra gli occupanti da una parte e i gruppi estremi della guerriglia dall’altra: «Siamo stanchi ed esausti per queste azioni che prestano il fianco e rafforzano la campagna repressiva nei confronti nostri e di tutti coloro che difendono il loro paese dall’occupazione». L’amarezza che sale dalle parole del portavoce della comunità sunnita è molto forte, anche perché il nipote dello Sheik al Dari, il segretario dell’Associazione, sarebbe appena stato ucciso due giorni fa da un cecchino americano presso Abu Ghraib. «Per tutte queste ragioni – continua l’esponente sunnita – abbiamo fatto un appello a coloro, chiunque essi siano, che hanno rapito Giuliana perché la rilascino subito. Il problema è che la nostra autorità morale è tenuta in considerazione e rispettata da molte organizzazioni ma non da altre, anche se queste ultime sono assai minoritarie». «Chi sono quelli che potrebbero ascoltare questo vostro appello?», chiediamo a sheik Omar, mentre fuori continuano a circolare bassissimo gli elicotteri americani: «Innanzi tutto coloro che hanno un background realmente islamico e soprattutto iracheno – risponde sicuro il giovane portavoce degli Ulema – ma non quei settori che dicono di far riferimento ad al Qaida, con molti stranieri, che non hanno nulla a che fare con la vera resistenza poiché a loro dell’Iraq non importa nulla, pensano solo a colpire gli americani a livello globale. Sono qui perché ci stanno gli americani e quando questi se n’andranno spariranno anche loro». Sheik Omar ci racconta poi come invece la resistenza irachena abbia in genere un carattere »islamico ma anche fortemente nazionale», e lotti per «mettere fine all’occupazione dell’Iraq e alla trasformazione del paese in una grande base militare dalla quale Washington vuole controllare il medioriente e minacciare tutti i paesi della regione». Una posizione questa che sarebbe comune a «tutti i gruppi che lottano per liberare il loro paese dall’occupazione».
Prima di lasciarci «è meglio che vi avviate altrimenti ci tocca fare un altro appello anche per te» – ci dice il portavoce dell’Associazione degli ulema con una battuta di spirito – sheik Omar vuole cogliere questa occasione per lanciare un appello al dialogo con i «nostri fratelli italiani» invitandoli a non «cadere nelle trappole dei governi che vogliono dividere la gente e scavare tra noi fossati di odio per poter controllare meglio i loro popoli». «Il profeta Mohammed e il corano – aggiunge salutandoci mentre gli addetti alla sicurezza aprono il pesante cancello – non si rivolgono ad un certo popolo o etnia ma a tutti gli uomini, a tutti i figli di Adamo ed Eva. E tutti coloro che perseguono il bene, in Iraq come in Italia, cristiani e musulmani, dovrebbero unirsi per fermare la tragedia senza fine che sta vivendo il popolo iracheno e costruire insieme un futuro comune».