Liberalizzazioni sotto esame

Il disegno di legge presentato da Luigi Bersani sulle «liberalizzazioni» sta macinando il suo percorso parlamentare a tappe ravvicinate. Ieri l’aula della Camera ha stralciato tutta la parte relativa alla scuola, assegnandola per l’esame alla commissione Istruzione. Stamattina invece il «comitato dei nove» – ossia la Commissione attività produttive in forma ristretta – esaminerà gli emendamenti raccolti dal radicale ultraliberista Daniele Capezzone, primo firmatario di un progetto di legge per «la semplificazione dell’avvio di imprese».
La «lenzuolata» predisposta dal ministro dello sviluppo economico ha già sollevato numerose proteste in alcune categorie e parecchie preoccupazioni a sinistra (per la sua contiguità, pratica e «ideale», con l’ancor più contestato «decreto Lanzillotta», che prevede di fatto la privatizzazione di aziende di servizi locali (le cosiddette «municipalizzate») o comunque un forte ostacolo alla loro operatività. Sempre per obbedire a quel diktat ideologico secondo cui basta «liberalizzare e privatizzare» per avere più benessere economico e prezzi finali più bassi (vogliamo parlare di Autostrade, Alitalia, Ferrovie, Telecom e via «privatizzando»?).
Nel lungo elenco, mediaticamente, la parte del leone l’ha fatta la norma che prevede libertà di costruire distributori di carburanti all’interno delle aeree degli ipermercati. Qualche anno fa lo stesso Bersani aveva fatto passare una norma opposta, che imponeva la riduzione degli impianti in base alla teoria che i prezzi alti erano dovuti all’eccessivo numero di distributori (le cosiddette «diseconomie della rete»).
Ma ha il suo peso anche l’abolizione dell’obbligo di iscrizioni all’albo per i mediatori d’affari, agenti immobiliari, agenti di commercio, spedizionieri, ecc. Un pubblico già oggi spesso in balia di operatori senza scrupoli rischia di veder moltiplicare davanti ai propri occhi l’orda dei «lupi» che mirano ai suoi risparmi. Idem per i servizi a terra nelle aeree aeroportuali e la gestione di traffico ferroviario, in previsione di una separazione societaria chiara tra gestore della rete ferroviaria e «offerte di viaggio». Sempre in ambito trasporti, l’art. 7 prevede la moltiplicazione dell’offerta di «servizi alternativi all’auto privata», che fin qui sarebbero stati limitati dalla farraginosità delle norme di ingresso al mercato.
Di tutt’altro segno, invece, il protocollo firmato ieri dallo stesso Bersani unitamente al ministro della sanità Livia Turco e ai presidenti di otto regioni meridionali. Un «memorandum» sull’uso di tre miliardi di euro provenienti dai fondi strutturali dell’Unione europea e destinati a favorire la riduzione del gap esistente tra la sanità dell’Italia meridionale rispetto al resto del paese. Nella retorica del momento, i ministri e i governatori hanno parlato soprattutto dell’«obiettivo di ridurre il turismo sanitario verso il centro e il nord», quando non addirittura verso l’estero. Sta di fatto che non sarebbe davvero male se l’assistenza ospedaliera e la prevenzione, nel mezzogiorno, fossero potenziate senza sprechi né concessioni al business degli «amici degli amici» (la sanità privata – ma in convenzione, ad esempio per le analisi e gli esami diagnostici – pesa sul bilancio di quella pubblica quasi più delle strutture «interne»). Nelle intenzioni ci sono sei «indirizzi operativi» che vanno dall’intensificazione dell’investimento tecnologico all’informatizzazione dei servizi regionali, dall’ottimizzazione dell’accesso alle prestazioni (diagnosi, ecc) all’attivazione di «centri di riferimento regionali», dallo sviluppo della cooperazione tra centri di riferimento del sud e centri d’eccellenza del centro-nord fino al potenziamento delle strutture d’eccellenza che, pure, esistono anche al Sud.