Il liberalismo si afferma quale ideologia della classe dominante all’indomani della prima rivoluzione industriale, quando la trasformazione dei processi produttivi e la rivoluzione borghese dei rapporti sociali di produzione determinano la vittoria della borghesia sull’aristocrazia e la nobiltà.
Il presupposto storico di questa rivoluzione sociale, attraverso la quale la borghesia, già classe economicamente dominante, tende ad affermarsi come politicamente egemone, consiste nella transizione con la quale si era aperta la Rivoluzione francese. L’ideologia della nuova classe tende ad affermare la centralità dell’individuo, il primato della “libertà” quale necessità storica e sociale nonché l’ emancipazione del soggetto in quanto produttore “assoluto”.
La memoria storica di questa componente sociale si costruisce, alimentandosi di miti costitutivi ed ispirazioni ideali della più diversa provenienza, attraverso le varie fasi monarchico-costituzionali della Rivoluzione francese, della narrazione storica della Rivoluzione americana e la conseguente costituzione degli Stati Uniti d’America, della fascinazione prodotta dal progresso tecno-scientifico che caratterizza la transizione tra la prima e la seconda rivoluzione industriale.
Viceversa, l’ispirazione ideologica è quella che fa capo ai grandi movimenti della nascente destra liberale: nella quale si raccolgono le pulsioni autoritarie di Tocqueville, il pensiero della competizione naturale tra individui di Hobbes, il liberalismo filosofico e politico di Locke.
Come giustamente ha messo in luce Domenico Losurdo, nel suo recente e impegnativo saggio, “Controstoria del Liberalismo”, la comune matrice è quella della liberazione dal condizionamento di autorità esterne e collettive. La dialettica tra individuo e società è coniugata in una infinità di varianti, le quali vanno dalla completa liberazione dell’individuo da qualunque forma di controllo, condizionamento e limitazione sociale – in quanto espressione della capacità produttiva dell’uomo quale singolare “elemento specifico” – a quella della rivolta contro l’autorità dello Stato in tutte le formazioni della vita associata, dalla rivolta contro l’imposizione fiscale (che era stata una delle scaturigini della lotta di liberazione dal giogo coloniale britannico delle tredici colonie nord-americane) alla rivolta contro l’assolutismo, ed i “lacci e laccioli” della burocrazia (rivolta che, d’altra parte, aveva alimentato di sé tanta parte del mito costituente della prima stagione rivoluzionaria borghese).
In generale, il “pensiero forte” che dà anima e sostanza a queste posizioni è quello della liberazione dell’individuo nelle sue facoltà espressive, che, tradotto in termini sociali, si definisce come liberazione delle forze del mercato dal controllo pubblico. Nasce così il mito dell’individuo, libero titolare di un contratto sociale, che, in nome della medesima espressione di “libertà”, esclude qualsiasi intervento da parte di forze sociali collettive (dai partiti ai sindacati, dalle organizzazioni di massa alle espressioni di movimento popolare).
Nella stagione successiva alla Restaurazione monarchica e nella fase storica che si apre all’indomani del Congresso di Vienna, nelle diverse rivoluzioni liberali ad egemonia borghese degli anni Venti e Trenta dell’Ottocento, non viene messo in discussione il ruolo e l’autorità del sovrano, se non per “temperare” i connotati più deteriori dell’assolutismo, grazie all’elargizione di costituzioni graziosamente concesse da principi e monarchi. Quest’ultimi si prodigano, lungo l’intera stagione pre-quarantottina, “di cambiare tutto perché tutto resti com’è”, vale a dire di predisporre limitazioni costituzionali al proprio potere sovrano in cambio di un ulteriore puntello alla propria autorità.
Sono quindi gettati i presupposti, per cui, dopo la parentesi dei primi moti rivoluzionari ad ispirazione popolare del Quarantotto, la forza restauratrice delle grandi costruzioni monarchiche ed imperiali potrà trovare nuova linfa proprio grazie al sostegno offerto delle forze della borghesia. Quest’ultima acquisisce così, grazie alla trasformazione del sistema di relazioni sociali conseguenti alla seconda rivoluzione industriale della seconda metà del secolo, una nuova caratura politica: imperialistica, colonialistica ed esplicitamente reazionaria.
Il nuovo ruolo delle borghesie avrebbe portato, come nuvola porta la pioggia, la tragedia storica delle guerre mondiali del “secolo breve”.
Alla classe borghese, sin dalla seconda metà dell’Ottocento, si era venuta contrapponendo, intanto, l’altra classe motrice della storia contemporanea, il proletariato. Nella sua configurazione originaria, quale proletariato di fabbrica, la classe operaia tradizionale divenne portatrice di un’istanza rivoluzionaria e di una propria teoria e prassi di trasformazione generale della società.
Questa teoria avrebbe trovato la sua prima, compiuta formulazione in Marx, la sua prima sintesi organica in Engels e la sua prima effettività rivoluzionaria in Lenin. Siamo quindi nel pieno della rivoluzione anti-liberale, lo scontro ideologico che trova il suo primo decisivo conflitto nel voto parlamentare tedesco del 1914 sul finanziamento dei crediti di guerra per l’impegno bellico della Germania: un impegno bellico fortemente voluto dalle borghesie dominanti per garantirsi nuovi mercati e nuovi potenziali di espansione capitalistica e a cui parte delle forze politiche del movimento operaio si sarebbe accodata.
Il copione si sarebbe ripetuto ancora per la seconda guerra mondiale, per il conflitto israelo-palestinese e per i nuovi conflitti etno-politici post-Ottantanove, dai Balcani al Ruanda, dall’Afghanistan all’Iraq, con il “nuovo” offerto dall’innovazione tecnologica seguente alla terza rivoluzione industriale e da una originale consapevolezza dei “diritti umani”, sovente ad uso e consumo di classe dominante (bombardamenti umanitari e simili).
Ancora guerre, dunque, a servizio degli interessi del padrone: un esempio chiaro dell’intreccio perverso ed inscindibile tra interessi dominanti, pulsione alla guerra e l’ideologia liberale, che quelle pulsioni tipicamente accompagna, sostiene e legittima.