La gravissima crisi politica libanese – con il governo Siniora che ancora ieri ha rifiutato una nuova proposta di mediazione venuta da alcuni esponenti religiosi sunniti e con l’opposizione che ha invitato la popolazione a scendere di nuovo in piazza, in modo massiccio, la prossima domenica in una nuova prova di forza – potrebbe vedere presto salire tragicamente alla ribalta un nuovo/vecchio protagonista: la galassia che fa riferimento ad al Qaida decisa a trasformare il paese in un nuovo Iraq. Una minaccia questa tutt’altro che teorica, forse sottovalutata dal governo Siniora – ma anche dagli Usa – tentati entrambi dall’idea di usare, come già in Afghanistan, i gruppi salafiti per spostare il conflitto sul piano confessionale, per contrastare gli Hezbollah sciiti, i cristiani e i movimenti progressisti anti-governativi e, soprattutto, per destabilizzare la Siria.
I segnali preoccupanti a tale riguardo sono numerosi. Le forze dell’Unifil sarebbe state poste ieri in stato di allerta dopo che i comandi avevano ricevuto minacce di «possibili attacchi contro i militari dispiegati nel sud del Libano» da parte di gruppi terroristici legati ad al Qaeda. Minacce prese molto sul serio in quanto si sono aggiunte ad altri preoccupanti elementi che ne confermavano la validità. Già lo scorso 27 ottobre, l’ufficio dell’Olp a Beirut aveva reso noto che circa 200 militanti palestinesi e arabi jihadisti sarebbero arrivati recentemente nel nord del Libano, in particolare nel campo di Nahr el Bared a Tripoli e avrebbero dato vita ad un nuovo misterioso gruppo definitosi «Fatah-al Islam» guidato da un certo Shaker Issa, già militante di «Fatah Intifada». Il giorno prima il 28 novembre un alto esponente del gruppo salafita «Tawhid wal Jihad», Omar Abdullah, è stato ucciso dalla sicurezza siriana mentre tentava di entrare in Libano con una decina di passaporti falsi. Il giorno dopo, il 29 novembre, a Sidone, nel quartiere di Tameer, tra il campo palestinese di Ain el Helwe, controllato dall’Olp e la periferia della città sotto la supervisione dell’esercito e delle forze laiche-nasseriane, vi sarebbe stata una riunione della leadership del gruppo salafita «Jund al Sham» nella quale si sarebbe discusso della possibilità di stabilire un’intesa con la nuova organizzazione sorta a Tripoli e con altri movimenti affini sparsi per il paese. Dal campo di Ain el Helwe sono andati a combattere in Iraq e vi hanno perso la vita almeno una cinquantina di combattenti ma, come ci confermava lo scorso giugno «Abu Yaha», un esponente del gruppo «Esbat al Ansar» il flusso di volontari verso l’Iraq si sarebbe fermato da qualche mese, sia per la situazione interna irachena, sia perché «altri paesi sono minacciati dai crociati, anche il nostro, e avremo bisogno di loro».
La galassia jihadista in Libano si è andata rafforzando negli ulti anni grazie ad un pregiudizio pro-sunnita, pro-saudita e anti-siriano del Movimento del futuro di Rafiq Hariri. Basti pensare che il nuovo Mufti dell’Akkar ha due giorni fa paragonato la grande manifestazione dell’Opposizione a Beirut alle proteste dei pagani contro il profeta Mohammed alla Mecca. Eppure un misterioso gruppo chiamatosi «Jund al Sham» aveva rivendicato proprio l’attentato suicida con il quale nel febbraio del 2005 venne ucciso l’ex premier Rafiq Hariri. Una rivendicazione liquidata forse troppo in fretta. Così come i legami tra il presunto attentatore suicida, autore della rivendicazione dell’uccisione di Rafiq Hariri fatta arrivare ad al Jazeera, un certo abu Adas, e la cellula sospettata nel settembre del 2004 di aver pianificato un attentato all’ambasciata italiana di Beirut. Attentato che invece, secondo alcune fonti dei servizi libanese, avrebbe anche potuto avere come obiettivo lo stesso Rafiq Hariri solito a ricevere i suoi «clientes» al bar di fronte al parlamento proprio sotto la nostra rappresentanza diplomatica.
Le due cellule Jihadiste sarebbero inoltre legate ai tredici presunti membri di al Qaida arrestati lo scorso febbraio e delle cui «confessioni» nessuno ha più saputo nulla. In questo mondo oscuro colpisce inoltre il fatto che un importante membro della rete di killer del Mossad scoperta a Sidone lo scorso giugno (autori di numerosi omicidi eccellenti), Hussein Khattab, è risultato essere il fratello dello sheik Jamal Khattab uno dei presunti reclutatori di attentatori suicidi da inviare in Iraq a combattere con Abu Musab al Zarqawi. In realtà, senza alcuna dietrologia, il dato comune a tutto questo ambiente jihadista – che in tal senso oggettivamente finisce per porsi gli stessi obiettivi di Israele, degli Usa e dell’Arabia saudita – è l’odio per gli sciiti ed in particolare per il movimento Hezbollah. Non a caso l’ultimo messaggio video di al Zarqawi del giugno del 2006, prima di essere ucciso, aveva come obiettivo proprio la resistenza islamica libanese della quale chiedeva – evidentemente in buona compagnia – il disarmo o la distruzione.