Il mancato completamento del ritiro israeliano dal sud del Libano, dove l’esercito di Tel Aviv ancora controlla il centro di Ghajar e le fattorie di Sheba, darà ad Hezbollah «il diritto di far fronte all’occupazione». Lo ha sostenuto ieri il numero due del movimento sciita, Sheikh Naim Khassem, a poche ore dal ritiro delle truppe israeliane da una decina di centri libanesi a ridosso del confine ma non dalle due strategiche località laddove si incontrano i confini tra Israele, Libano e Siria. «Riteniamo la comunità internazionale – ha continuato l’esponente di Hezbollah, in un’intervista rilasciata al quotidiano progressista «As Safir» con una prima critica alle Nazioni unite – responsabile della continuazione dell’occupazione israeliana». Gli ha fatto eco il «moderato» leader del movimento sciita «Amal», alleato e concorrente degli Hezbollah, Nabih Berri, attualmente presidente del parlamento, secondo il quale «La nostra resistenza rimarrà totale fino a quando Israele manterrà posizioni in territorio libanese» . La dura presa diposizione dei due movimenti della resistenza sciita, se da una parte deriva dalla continuazione dell’occupazione israeliana di parti del territorio libanese, strategicamente molto importanti, come il paese di Ghajar , con le vicine fonti del Wazzani e dell’Hasbani, dall’altra avrebbe anche a che fare con le indiscrezioni dell’Agenzia francese «Afp» secondo la quale le truppe dell’Unifil avrebbero in realtà due «regole di ingaggio», una ufficiale e l’altra «riservata»: per la prima il loro ruolo si limiterebbe al sostegno dell’esercito libanese mentre nelle seconde, avrebbero anche il potere di arrestare eventuali militari degli Hezbollah, di fermare autoveicoli «sospetti» e aprire il fuoco contro chiunque venga visto girare armato nella regione. In altri termini le forze dell’Unifil avrebbero la possibilità di «usare la forza al di là dell’autodifesa per fare in modo che l’area di operazioni Onu (a sud del fiume Litani ndr) non venga utilizzata per attività ostili di qualsiasi natura». Il comandante del contingente francese, interrogato al proposito, ha sostenuto che «non si tratta di disarmare gli Hezbollah o di cercare le loro armi ma di impedirgli di muoversi». Più in generale se l’esercito libanese non dovesse intervenire allora le truppe Unifil avrebbero vasti poteri di intervento: «Se ad esempio dovessimo incontrare dei miliziani armati – ha sostenuto un ufficiale dell’Unifil – e se questi si arrendessero allora li consegneremo all’esercito libanese ma se dovessero resistere possiamo aprire il fuoco». Il tutto sulla base della risoluzione 1701 secondo la quale la zona a sud del fiume Litani non dovrà più vedere una presenza della resistenza libanese. Sarebbero queste le assicurazioni che avrebbero convinto i comandi israeliani a ritirare i loro uomini, sabato scorso, da una decina di villaggi in territorio libanese ma allo stesso tempo a rimanere nella parte libanese del paese di Ghajar, alle pendici del Golan, diviso a metà dalla «linea blu», il confine tra i due paesi stabilito dall’Onu, e a minacciare nuovi raid nel Libano del sud. A tale proposito il comandante in capo dell’esercito libanese, generale Michel Sleiman, ha esortato ieri i suoi uomini «ad essere pronti a rispondere ad ogni aggressione o violazione israeliana» del cessate il fuoco. Intanto le ingerenze internazionali per un disarmo degli Hezbollah stanno esasperando sempre più il conflitto interno al Libano. Ieri si sarebbe avuto un nuovo scontro armato, questa volta sulla Cornish al- Mazra’ah, nei pressi della moschea Abdel Nasser, tra un centinaio di seguaci (sunniti) della Hariri Inc., il partito-azienda «Al Mustaqbal», e un gruppo di militanti sciiti di Amal. Nello scontro, durato più di mezzora, vi sarebbe stato un morto e una ventina di feriti.