Una grande folla, convenuta al «cimitero dei martiri» nella periferia sud di Beirut, ha dato ieri l’ultimo saluto al ventenne Ahmed Mahmoud, simpatizzante del movimento sciita Amal, ucciso mentre stava tornando a casa nel quartiere di Qasqas da alcuni miliziani del Movimento del Futuro di Hariri originari dello stesso quartiere. Il ragazzo era stato colpito a morte da una fucilata domenica sera e la sua salma è stata vegliata per tutta la giornata di lunedì nella centrale piazza Riad el Solh dove da sei giorni i dimostranti dell’opposizione assediano il palazzo del governo, il Gran Serraglio sull’adiacente collina di al Qantari. Il Fronte dell’opposizione (i partiti sciiti Hezbollah e Amal, il Movimento patriottico libero del generale cristiano Michel Aoun, i drusi dissidenti di Arslan, il maronita Suleiman Franjieh, i nasseriani di Sidone, il fronte facente capo al sunnita Karame a Tripoli, il Partito del popolo e, su posizione autonome, il Pc) chiede le dimissioni del «governo Usa» e un esecutivo di unità nazionale nel quale tutte le comunità politico-confessionali abbiano eguale peso e nel quale l’opposizione abbia la possibilità di esercitare un diritto di veto sui tentativi americani e francesi di assumere il controllo del paese per usarlo per destabilizzare la Siria e «normalizzare i confini con Israele» senza alcun ritiro dai territori occupati palestinesi, libanesi e siriani.
Il governo Siniora (il Movimento del futuro della Hariri Inc., l’ultradestra falangista di Geagea e di Gemayel, il leader druso Jumblatt), entrato in crisi con le dimissioni di tutti e cinque i ministri sciiti e quelle di un greco ortodosso, non sembra però disposto a dimettersi e, al contrario, sta giocando senza scrupoli la carta confessionale mobilitando in sua difesa da una parte i settori più disgregati della piazza sunnita-islamista con l’aiuto di diversi predicatori di chiare simpatie jihadiste, e dall’altra le nuove Forze di sicurezza del ministero degli interni (quasi esclusivamente sunnite) messe in piedi, diciassette mesi fa, con l’aiuto del governo americano e dell’Fbi. La stessa politica portata avanti dagli Usa in Iraq – con le milizie del ministero degli interni, in quel caso sciite) con i risultati che tutti sappiamo. Ed è incredibile che i paesi europei continuino a sostenere un governo come quello Siniora il cui unico obiettivo sembra quello di una destabilizzazione confessionale del paese. Per il momento gli incidenti di natura settaria sono stati complessivamente assai pochi ma il rischio di uno scontro, anche se politico e non confessionale, cresce di giorno in giorno. Di qui l’allarme del capo di stato maggiore dell’esercito, generale Michel Suleiman, che in una lettera al premier Fouad Siniora ha ricordato come «l’assenza di soluzioni politiche, sommata al ripetersi di incidenti di sicurezza, soprattutto quelli con sfumature settarie, riduce la capacità dell’esercito e ne indebolisce la neutralità». E questa debolezza – ha ammonito Suleiman- rischia di «rendere incapace l’esercito di mantenere il controllo della situazione». Per riallacciare in extremis la trama del negoziato continuano intanto i contatti tra il leader Hezbollah, Hassan Nasrallah, e quello falangista Amin Gemayel, che sembra più disposto del premier Fouad Siniora a trovare una via di uscita che eviti la disgregazione del paese.