Libano, non c’è tregua che tenga

Per annunciare che anche questa volta, nonostante l’aumento delle pressioni internazionali dopo il massacro di Qana dell’altro ieri, Israele andrà avanti per la sua strada, Ehud Olmert ha scelto un incontro con i sindaci delle città della Galilea, quelle maggiormente colpite dai razzi Katiusha sparati da Hezbollah. «I combattimenti continuano. Non c’è nessun cessate il fuoco ne ce ne sarà uno nei prossimi giorni», ha dichiarato il primo ministro. «Dobbiamo aspettarci ancora sofferenze, lacrime e sangue», ha detto rivolgendosi al paese. Poi s’è rivolto ai «cittadini del Libano» per dire che «ci dispiace per il dolore che vi abbiamo inflitto, per il fatto che avete dovuto abbandonare le vostre case e per le vittime innocenti causate. Fermeremo la guerra quando la minaccia dei razzi sarà rimossa, i nostri soldati torneranno a casa e voi potrete vivere in sicurezza». Secondo Olmert la guerriglia sciita del Libano ha già subìto perdite pesantissime, dalle quali potrebbe non essere capace di riprendersi.
Ma non è durata nemmeno lo spazio d’un mattino la mini tregua parziale di 48 ore annunciata domenica notte dopo il massacro di Qana. Due giorni di stop soltanto dei bombardamenti – reclamizzati dal dipartimento di stato statunitense e non ufficializzati dal governo israeliano – che avrebbero dovuto favorire i soccorsi e alleviare le sofferenze della popolazione civile. E invece anche ieri l’aviazione israeliana ha colpito, anche se con un’intensità nemmeno lontanamente paragonabile a quella dei giorni precedenti. L’auto di un soldato dell’esercito libanese è stata bombardata a Tiro («credevamo trasportasse hezbollah» la versione ufficiale) e il militare è rimasto ucciso. A Masnaa, principale posto di frontiera con la Siria, un caccia ha distrutto un camion, mentre altri due sono stati colpiti da drone, aerei senza pilota. Martellate anche le colline del sud del Libano, mentre combattimenti di terra infuriavano nel villaggio di Aita al-Shaab.
Per far capire come si metteranno le cose nei prossimi giorni il ministro della difesa, Amir Peretz, ha parlato di «operazioni contro Hezbollah» che si espanderanno e rafforzeranno». Fonti dell’aviazione citate dal quotidiano Ha’aretz hanno fatto sapere che all’aeronautica militare «è stata data istruzione di colpire obiettivi che presentano una minaccia per Israele o le sue truppe, tra cui postazioni di lancio per missili, veicoli che trasportano munizioni, combattenti hezbollah, depositi di armi e proprietà di Hezbollah».
Nella guerra di propaganda che in ogni conflitto procede parallela a quella a colpi di cannone il Partito di Dio ha annunciato di aver colpito una nave da guerra israeliana a largo di Tiro. Gruppi di libanesi hanno festeggiato in piazza a Beirut quella che il comunicato definisce «una rappresaglia per il massacro di domenica», quando 54 civili, tra cui 37 bambini, erano rimasti uccisi dopo che una bomba sganciata dall’aviazione di Tel Aviv aveva distrutto un palazzo a Qana. Una strage per la quale ieri pomeriggio Louise Arbour – l’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani – dopo aver espresso una dura condanna, ha chiesto un’inchiesta internazionale indipendente. Poche ore prima il Consiglio di sicurezza dell’Onu aveva approvato all’unanimità un documento in cui ha espresso «shock e angoscia» per l’attacco che ha rappresentato finora il peggior crimine commesso dall’inizio di questa guerra. Nel «documento si deplora duramente la perdita di vite innocenti» ma, nonostante i continui appelli del segretario generale, Kofi Annan, non si richiede alcuna tregua immediata. Anche l’appuntamento fissato alle Nazioni Unite per iniziare a discutere della «forza d’interposizione» che dovrebbe essere dispiegata nel Libano del sud dopo la fine dei combattimenti ieri non ha fatto registrare alcun progresso. L’incontro è stato posticipato a tempo indeterminato «fino a quando non ci sarà un quadro politico più chiaro». Il panorama per ora è complicato da una serie di fattori: un’offensiva militare israeliana che si annuncia lunga e difficile; gli interessi contrapposti degli Usa, interessati a difendere il proprio partner strategico in Medio Oriente, e Francia, determinata a riconquistare un ruolo di primo piano in Libano; gli hezbollah e il presidente libanese Emile Lahoud che si dichiarano assolutamente contrari; la possibilità che il conflitto si allarghi. In tarda serata il ministro degli esteri iraniano Mottaki ha fatto sapere di avere in programma un incontro con il suo omologo francese Douste Blazy nell’ambasciata iraniana di Beirut. Si tratterebbe d’una conferma dell’intraprendenza di Parigi sul fronte libanese ma anche di un colpo per l’intransigenza degli Usa che hanno finora rifiutato di discutere con Tehran e Damasco, principali sponsor di hezbollah.