Il veto Usa alla formazione di un governo di unità nazionale nel quale i ministri sciiti e i loro alleati sunniti e maroniti avessero un potere di veto sulle scelte del governo, soprattutto per quanto riguarda il disarmo della resistenza, i rapporti con gli Usa e quelli con la Siria, ha portato ieri al fallimento del «dialogo nazionale» convocato dal presidente del parlamento libanese Nabih Berri e alle successive, improvvise, dimissioni dei cinque ministri sciiti del governo. Due del movimento Hezbollah, due del movimento sciita moderato di Amal e un indipendente, il ministro degli esteri Fawzi Salloukh. Il premier filo-Usa Fouad Siniora ieri in serata ha fatto sapere di aver respinto le dimissioni dei ministri sciiti ma questi in un loro comunicato hanno confermato che non parteciperanno più alle riunioni del governo. Quest’ultimo potrebbe in ogni caso continuare ad operare ma non c’è dubbio che il suo carattere di «governo di minoranza», ora scopertamente di parte, metterà il paese, che si regge su un precario equilibrio politico confessionale, davanti al rischio di un disastroso precipitare della situazione. Il governo Siniora, sostenuto dal «Fronte del 14 marzo» – composto dal «Movimento del futuro», il «partito azienda» della famiglia Hariri ora guidata dal figlio dell’ex premier scomparso e dal suo manager preferito Fouad Siniora, dal leader druso Walid Jumblatt, dalle ultradestre maronite di Amin Gemayel e di Samir Geagea (il massacratore di Sabra e Chatila) si troverà davanti ad un’opposizione che in realtà è già maggioranza nel paese, composta dalla più numerosa comunità libanese, quella sciita, dalla maggioranza dei cristiani maroniti che si riconoscono nel «Movimento patriottico» del generale Aoun, da gran parte dei sunniti di Tripoli e Sidone e persino da una minoranza della comunità drusa. Uno schieramento che, si dice a Beirut, potrebbe dar vita la prossima settimana ad una mobilitazione di piazza destinata a durare fino alla formazione di un governo di unità nazionale. I pericoli di un precipitare della situazione sono assai forti. I due campi si starebbero entrambi preparando ad occupare la «piazza dei martiri», nel centro della città, con migliaia di tende, separati da un esile filo di agenti. Il generale Michel Sleiman, capo di stato maggiore dell’esercito, da parte sua, al premier che gli chiedeva di schierare i suoi uomini per fermare l’opposizione ha già fatto sapere che le Forze armate (composte in maggioranza da sciiti) saranno neutrali. Mostrando una forte preoccupazione uno dei rappresentanti Hezbollah all’incontro di ieri mattina, durato appena due ore, ha confessato ieri sera ad alcuni giornalisti che «La situazione è pessima»
La rottura tra i due campi deriva in gran parte dal tentativo Usa di arrivare ad una uscita dal governo delle componenti contrarie ad un mandato coloniale occidentale sul Libano, al disarmo della resistenza libanese e palestinese, ad un uso del paese come base per una destabilizzazione della Siria ed infine, ultimo ma non certo meno importante, ad una «pace separata» tra il Libano e Israele indipendente dal ritiro israeliano dai territori occupati palestinesi e siriani. Ispiratore di questa sorta di «18 aprile» libanese è stato, localmente, l’ambasciatore Jeffrey Feldman il quale ha cercato sistematicamente, ricorrendo alla destra fascista di Samir Geagea e al leader druso Walid Jumblatt, di silurare i tentativi di mediazione portati avanti dalla stessa Arabia Saudita lo scorso inverno e in questi giorni. Tentativi che sono parte di un più generale sforzo diplomatico per arrivare ad una intesa tra sunniti e sciiti nel Golfo, in Iraq ed in Libano. In questo sforzo teso a balcanizzare la regione gli Stati uniti stanno cercando di coinvolgere anche le Nazioni Unite, sia allargando sempre più i compiti dell’Unifil, sia strumentalizzando la stessa commissione di inchiesta Onu sull’uccisione dell’ex premier Rafik Hariri. Non a caso, con grande tempismo, mentre i partiti libanesi stavano discutendo tra loro, ieri mattina è arrivata, inattesa, a Beirut la bozza «definitiva» dell’Onu sul «tribunale internazionale» per Hariri che il premier Siniora avrebbe voluto approvare, senza discussioni, lunedì mattina mettendo in sole 48 ore sotto il controllo occidentale la stessa magistratura libanese.