Lezioni alla francese

In Francia l’anno scorso i progetti del governo sulla ricerca sono stati ritirati di fronte all’abbandono delle loro cariche da parte di tutti i direttori dei laboratori. Ieri a Roma la ministra Moratti sperava di cogliere tutti in contropiede imponendo al senato una votazione blindata e disperata su un ddl che nessuno vuole e che tutti (anche se molti ai vertici dell’accademia purtroppo solo a parole) hanno contestato fin dall’inizio. Le università sono ancora vuote, i corsi riprenderanno a ottobre e dopo un anno di mobilitazione, nelle università italiane si sarà diffusa una certa stanchezza, devono aver pensato gli «strateghi» di una maggioranza allo sbando. E invece ieri la risposta di precari, ricercatori, docenti e studenti è andata ben al di là delle aspettative, tanto che le forze dell’ordine hanno deciso di aggredire i manifestanti che protestavano sulle strisce pedonali davanti a palazzo Madama. Mentre i passanti dimostravano la loro solidarietà per la violenza dei poliziotti nessuno si è dato per vinto e la manifestazione si è spostata presso la Conferenza dei rettori (Crui). Parlando in assemblea con il presidente Tosi, la Rete nazionale dei ricercatori precari lo ha invitato a prendere atto del fallimento della sua «strategia del dialogo» e a trasformare le tante prese di posizione sull’irricevibilità del ddl nell’unico atto concreto possibile: le dimissioni. Dimissioni dei rettori, ma anche dei presidi delle facoltà, di tutti gli organi accademici, per fare come in Francia.

Perché ormai la posta in gioco non è la sorte dei 55mila docenti e ricercatori precari che fanno tutti i giorni funzionare le nostre università e che vedrebbero svanire ogni speranza di accesso a un ruolo stabile, e neanche solamente quella dei ricercatori strutturati che vedrebbero ripagato il loro lavoro con la cancellazione della loro esistenza. In ballo c’è il futuro dell’università italiana, di quell’università pubblica e di massa che sta morendo sotto i colpi dei continui tagli, del blocco delle assunzioni, del continuo e inarrestabile invecchiamento del corpo docente. Strumenti con i quali viene realizzata una neanche troppo strisciante riduzione del personale funzionale a quella privatizzazione rilanciata dall’ex rettore (oggi senatore dei Ds) Luciano Modica che solo due giorni fa ha proposto sul Corsera di autorizzare gli atenei a trasformarsi in fondazioni. Che, è facile immaginare, si comporterebbero come tutti i privati, aumentando i costi per gli «utenti» (noi continuiamo a chiamarli studenti) e moltiplicando il numero di docenti e ricercatori precari.

La battaglia contro il ddl continua, anche in vista del prossimo e definitivo passaggio alla camera. Per questo facciamo nostro con entusiasmo l’invito delle organizzazioni e sigle della docenza universitaria a promuovere per i giorni dal 10 al 15 ottobre il blocco di ogni attività e ci impegniamo a fare di tutto perché si trasformi in iniziative concrete, dalla sospensione della didattica a quello degli esami e delle lauree. Rilanciamo però proponendo che questa settimana di lotta sia conclusa da una grande assemblea nazionale di tutto il mondo universitario (studenti compresi) che potrebbe tenersi presso La Sapienza di Roma. Non è ancora finita, possiamo ancora vincere.

* Rete nazionale ricercatori precari