Intervista a Khaled Fouad Allam, editorialista de “la Repubblica”
Khaled Fouad Allam, editorialista de La Repubblica, aveva già firmato ieri sul quotidiano del gruppo Espresso un lungo e illuminante articolo, che spiegava le origini storiche dell’iconoclastia nell’Islam nei riguardi del Profeta (una prescrizione consolidata col prevalere dei wahabiti). E che, inoltre, concludeva sulla sconfitta generale predestinata nella messa in scena della “guerra delle caricature”. A lui abbiamo chiesto di tornare a ragionare con noi delle implicazioni profonde di questo spettacolo del cultures clash. E subito ribadisce:
«Mi sembra ovvio che in questa scena ambedue siamo perdenti, l’insieme dei valori connotativi della democrazia “occidentale” per un verso e dall’altro la presenza della cultura islamica, soprattutto e proprio nel rapporto, nella relazione con l’occidente».
La rappresentazione dello “scontro di civiltà”, dunque, rischia di farsi realtà?
Il cuore del problema, per me, è la convivenza. Che significa un processo delicato e complesso, che chiede responsabilità. Mentre mi pare che qui si percepisca nettamente un tentativo di provocazione, un intento che c’è stato e si ripete.
Cosa e chi si provoca, tramite la sfida alle convenzioni religiose islamiche? E perché adesso, con questa reazione?
Credo anzitutto che non si possa ragionare su azioni e reazioni astraendo dai contesti. Ora noi non siamo in un contesto “normale”, sia sul piano delle relazioni sia sul piano delle percezioni d’identità. Quello attuale è un contesto di enorme tensione: tra occidente ed Islam, tanto come autopercezioni quanto come proiezioni, c’è oggi un rapporto come tra due poli elettrici. E ciò, peraltro, non è accaduto per un cieco destino, ma lungo accadimenti ben determinati, con ferite che per essere rimarginate richiedono molto tempo. E, appunto, molta responsabilità.
Sulle ferite, invece, anche l’uso di questa satira sparge sale?
Sai, c’è anche una questione di buon gusto. Si può pensare quello che si vuole e irridere legittimamente ogni cosa: ma esiste la realtà che per un miliardo di persone c’è una figura profetica in cui si incarna la loro percezione del sacro. E allora io inviterei a riflettere su cosa accadrebbe, non fuori contesto ma sempre in questo che viviamo, se avessimo davanti una satira musulmana in cui fosse Cristo ad essere ridicolizzato…
Non c’è però un rischio di assumere la differenza come un limite invalicabile?
Sono il primo a sostenere che esiste una virtù pedagogica della democrazia, cui fare appello per dare alle cose le giuste dimensioni e superare i furori identitari, così come per diffondere il senso di responsabilità: ma se la democrazia è una conquista, tanto più da conquistare è l’azione di questa sua virtù. Non si può, insomma, mettere il carro davanti ai buoi.
In effetti, adesso tutte le autorità religiose impugnano la questione per affermare il rispetto dei culti sulla libertà d’espressione…
E’ chiaro che una volta avviato un meccanismo del genere, tutto diventa un calderone e tutto e tutti si confondono. Questa è una via estremamente facile per essere invasa da ogni tipo di rivendicazione identitaria: e la preda diventa proprio la convivenza. Per poter approcciare correttamente il problema, e al contempo non farlo debordare, al di là del concetto di libertà o di democrazia dovremmo forse misurarci con un paragone: quello con la fotografia durante la colonizzazione. Là, come secondo me adesso, da focalizzare non è tanto chi viene rappresentato ma chi fotografa – il colonizzatore. Cioè chi rappresenta chi e la visione dell’altro che così rivela.
Fra Ue e Conferenza islamica si parlerebbe di una deontologia «dell’uso del dileggio» da far proporre all’Onu: pensi che sia corretto cercare regole formali? O sia efficace?
Penso che sia difficile. E soprattutto equivoco. Quell’esperienza l’hanno già fatta gli Stati Uniti, in qualche modo, con il politically correct. Come si è visto, si rischia di creare l’esatto opposto della convivenza: casomai si cristallizza un trauma e si congela ogni contaminazione, che è invece il processo complesso di cui tutti abbiamo bisogno.
Intanto, sono gli Usa a prendere le distanze dalle caricature; e l’Europa a trovarsi in prima linea, adesso. Il paradosso cosa spiega?
E’ anche il riflesso di differenti Dna storici, con la secolarizzazione europea avvenuta in gran parte fuori e contro il potere religioso, al contrario che per gli Stati Uniti. E, certo, c’è un fatto politico attuale: è l’Ue ad avere dentro il problema della convivenza, con 20 milioni di cittadini musulmani, con i Balcani e il Sud-Est. Ma ha voluto rimuoverlo. E con esso ha rimosso le sue fondazioni mediterranee.