Cari/e parlamentari che avete fatto parte del movimento contro la guerra e che vi considerate pacifisti, vi aspetta una responsabilità enorme: detto brutalmente, dovete decidere se mandare/far restare militari in Iraq e in Afghanistan ad ammazzare e ad essere ammazzati.
Berlusconi non è più a Palazzo Chigi e d’ora in poi tutto il sangue versato ricadrà sul governo Prodi e su tutti/e voi. Avete il dovere, innanzitutto, di far uscire le truppe dall’Iraq subito. Il ritiro completo, seppur in modo ambiguo, sembrerebbe acquisito ma in tempi assurdi e inaccettabili, che coincidono con quelli già pianificati da Berlusconi.
La resistenza irachena (che non c’entra con le provocatorie attività di Al Qaeda, che siano pilotate o meno dagli Usa) è così rafforzata che restare in Iraq significa mettere in conto decine di morti l’anno tra le proprie truppe: e questo nessun governo italiano è in grado di sostenerlo. Dunque da voi ci si aspetta una fortissima pressione per una uscita immediata (senza «ritorni») e non a fine anno: ogni morto italiano in Iraq d’ora in poi sarà anche vostra responsabilità. Non verrete mica voi pure, a posteriori, a fare la litania sul «terrorismo», sui «martiri» e sui «lutti nazionali»?
Ma, nel contempo, non è accettabile uno scambio scellerato tra Iraq e Afghanistan, né assurdi discorsi sull’«impossibilità di ottenere tutto e subito». Non stiamo parlando di stipendio europeo per i docenti da ottenere a luglio o della cancellazione di tutto il precariato entro settembre. Parliamo di guerra: e quella o la si fa o non la si fa.
Sarebbe allucinante dire: la smettiamo in Iraq e la continuiamo in Afghanistan, perché tanto negli ultimi anni in Italia sull’Afghanistan c’è stata poca mobilitazione.
Vi ricordo che l’esordio in grande del nuovo movimento no-war è avvenuto a novembre 2001 con centocinquanta mila persone in piazza contro la guerra all’Afghanistan. Poi, è vero, la mobilitazione si è concentrata sull’Iraq.
Ma sapete benissimo che oggi è in corso un salto di qualità nella guerra afghana. I talebani, che hanno riconquistato buona parte del paese, e gli Usa chiedono rinforzi seri alla Nato e all’Italia. Non c’è militare che in questi giorni non abbia parlato chiaro: no ai balletti sulle missioni di pace – hanno detto in coro – qui c’è da fare una guerra, dura e sporca come in Iraq.
Potete ignorare questa lampante verità? Potete darvi come alibi per finanziare questa guerra (ricordate il no ai «crediti di guerra»?) il fatto che il movimento si vede poco ed è diviso? Esso non vive sulla Luna: molte organizzazioni e reti, che lo animano, sono attraversate pesantemente dall’influenza dei partiti di governo. Ma il mandato della maggioranza degli italiani/e è chiaro: i due terzi di essi/e – dicono tutti i sondaggi – vuole il ritiro da ogni guerra, un po’ per pacifismo, un po’ per paura di avere morti là e soprattutto qua. Dunque, votando no alle missioni, avreste con voi la maggioranza degli italiani.
Il leit-motiv di chi si appresta a votare si è: altrimenti cade il governo. Non spetta a noi fare i puntellatori di Prodi, fermo restando che un governo che, per stare in piedi, necessità di una guerra, non merita di essere difeso.
Ma a destra la Lega, ha fatto il diavolo a quattro sulle cose che le stavano davvero a cuore (vedi devolution), minacciando di far cadere Berlusconi fino a quando non ha ottenuto quel che voleva. Avete chiarito a Prodi che il «basta con tutte le guerre» è per voi assolutamente decisivo, il primo punto della lista?
Esso lo è per tutto il movimento antiliberista europeo e mondiale: è il messaggio inequivocabile uscito del Forum Europeo di Atene e da quello mondiale di Caracas e il mondo antiliberista guarda a ciò che farete. Un voto favorevole alla guerra sarebbe non solo una tragedia per l’Afghanistan e l’Italia ma vi porrebbe in rottura netta con la gran parte di tale movimento: si ripeterebbe la vicenda della «guerra umanitaria» alla Jugoslavia, con l’aggravante di cinque anni di lotta contro la guerra cancellati in un attimo.
Spero che non vi assumerete questa responsabilità politica e questo peso atroce sulla coscienza.