«L’esempio Melfi lezione per tutti»

Il segretario generale della Fiom ripercorre i 21 giorni di presidio: fu fondamentale la partecipazione degli operai. Ma restano i problemi della Fiat, l’urgenza della crisi

E’ stato uno dei protagonisti della lotta di Melfi (esclusi gli operai, ovviamente). Gianni Rinaldini resta immortalato nella foto che lo ritrae sul furgoncino di fronte ai presidi, con il megafono in mano. Cerca di convincere i lavoratori che l’azienda vuole trattare, e che per il momento conviene sospendere i blocchi: non toglierli del tutto, ma sedersi al tavolo e capire cosa offre la controparte. Per poi decidere, tutti insieme. La lotta di Melfi ha cambiato anche il sindacato, e il segretario della Fiom la racconta così.

A un anno di distanza qual è il ricordo più vivo dei 21 giorni?

Certamente le assemblee con gli operai, i presidi davanti ai cancelli degli stabilimenti. Da Melfi è arrivato un messaggio di partecipazione: certo, ogni anno portiamo avanti diverse vertenze, ma lì c’è stata una novità, una rottura. Si è cancellata d’improvviso tutta una retorica e una serie di fantasie che circolavano sulla «fabbrica integrata», sul «prato verde», dove gli operai sarebbero stati in perfetto accordo con i dirigenti. Nelle unità produttive, al contrario, la realtà era ben diversa da quella rappresentazione, e la protesta è scoppiata perché da anni presentavamo una piattaforma che la Fiat non prendeva neppure in considerazione. Decisivi, in questo senso, sono stati gli scioperi dell’indotto, che hanno maturato un terreno fertile e sono diventati un boomerang contro la stessa Fiat, che cercava di utilizzarli per dividere i lavoratori e metterli gli uni contro gli altri.

Ma la Fiat, dal vostro punto di vista, da allora è cambiata?

A Melfi ha subito un’indubbia sconfitta, e dunque ha accettato di firmare un’intesa con noi. Ci sono segnali in altri stabilimenti, basti pensare alla Sevel Val Di Sangro, dove producono il Ducato, che ha finalmente ottenuto un integrativo dopo 60 ore di sciopero. Ma in ogni caso, sono tutte conquiste che bisogna sudarsi. Sul piano nazionale la Fiat continua, al contrario, a comunicarci le sue decisioni solo quando sono già prese. Da questo punto di vista, siamo in una situazione pessima. La crisi è evidente, ma per il momento la famiglia Agnelli non mostra di voler investire, eppure i soldi li avrebbe. Lo stesso governo, che il sindacato invoca in tutti i modi, dovrebbe dirci se vuole mantenere il settore dell’auto in Italia, e intervenire di conseguenza. Dopo la piega che hanno preso gli avvenimenti con l’annuncio del convertendo da parte delle banche, la situazione appare gravissima. Bisogna agire con urgenza.

Il sindacato, dopo Melfi, non è più forte? Eravate in una fase di grande impatto, adesso quella forza propulsiva può esaurirsi?

Abbiamo fatto diversi scioperi, e in campo abbiamo varie iniziative, ma bisogna calibrarle bene e misurarle con la realtà delle cose: Termini Imerese starà ferma per sei mesi, a Mirafiori in giugno avremo 8500 cassintegrati su 12 mila dipendenti. Tutto il sistema Fiat è in affanno, mentre le aziende dell’indotto chiudono e licenziano. Per fortuna abbiamo una diversa dinamica nei nostri rapporti, tra le varie sigle: proprio nel periodo dei fortissimi contrasti su Melfi, si svolgevano le lotte alla Fincantieri e la prima fase della vicenda Terni. Sono vertenze che alla fine abbiamo chiuso insieme, con Fim e Uilm: quei mesi sono stati importanti, hanno contribuito a portarci alla piattaforma unitaria dei metalmeccanici, oggi fondamentale punto di riferimento nella crisi del settore.

Ma quella piattaforma viene accusata di essere «lunare» da parte di Federmeccanica. Gli industriali dicono che volete troppo in una fase di difficoltà, chiedono «moderazione».

E’ assurdo che si ostinino a vedere lo sviluppo solo nella chiave della compressione dei diritti e dei salari. Non capiscono che è il modello che ci sta portando alla rovina? Dovrebbero puntare, come diciamo da tempo, sull’innovazione e la ricerca, creare occupazione e conquistare i mercati con la forza del prodotto. Chi può dire che la Fiat è in crisi a causa delle retribuzioni degli operai?

Le forze politiche e la Confindustria sembrano non recepire i vostri messaggi.

La Confindustria lo ha fatto solo sul fronte degli equilibri politici: non va più a braccetto con il governo come nell’era D’Amato, cerca altre sponde. Ma non è cambiata in quanto a proporre diverse prospettive sociali: adesso provano in tutti i modi di bloccare i contratti pubblici, in modo da non dover concedere troppo ai lavoratori privati. Il governo resta sordo. Quanto all’opposizione, ci auguriamo che cambi profondamente rispetto alle politiche dell’attuale esecutivo. Ma per ora è solo un auspicio.