L’Ernesto in piazza contro la precarietà

A dire che la precarietà è il vero problema di questo paese, molto più dei conti di Maastricht o della cosiddetta competitività delle imprese, oggi, saremo in tantissimi. E ogni persona in più che sfilerà per le strade di Roma, per chiedere l’abrogazione delle tre leggi vergogna del governo Berlusconi, ci darà molta più forza per poterlo dire ancora. La generazione che più delle altre ha subito la regressione dei diritti degli ultimi 15 anni, quella senza lavoro, né reddito, né casa, né diritto all’istruzione o alla pensione, fino a ieri divisa, debole, impaurita, potrà oggi trovare nuova speranza. La speranza di invertire la rotta che il nostro paese ha seguito negli ultimi anni, di poter interrompere l’impoverimento del lavoro e delle vite di milioni di persone.
In piazza ci sarà anche Claudio Grassi, coordinatore nazionale di Essere comunisti: «Contro la precarietà del lavoro, vera piaga sociale. E per chiedere al governo di cancellare al più presto quelle leggi, Legge 30, Moratti e Bossi-Fini, che nei fatti e simbolicamente rappresentano l’attacco alle tutele e ai diritti dei lavoratori. Ma non dimentichiamoci che a cambiare deve essere anche l’intera legislazione sul lavoro, non basta cancellare le leggi del governo Berlusconi. Così come, a cambiare, e in meglio, deve essere la Finanziaria. Io penso che questa manifestazione possa servire per premere sul governo in questa direzione, mettendo in evidenza i limiti e le lacune, proprio a partire dal nodo del lavoro precario». I precari, in questo paese, sono due milioni e mezzo, qualcuno dice addirittura 4 milioni. E dei nuovi contratti stipulati più della metà sono “atipici”. Lavoratori a termine, ricattabili dallo spettro di un mancato rinnovo. Lavoratori a progetto, che subiscono una condizione di subordinazione, ma senza i diritti che a questa condizione sono connessi. Lavoratori svenduti, ceduti, passati di mano in mano.
Lavoratori che non possono iscriversi a un sindacato, come garantisce la nostra Costituzione. Lavoratori in nero, nascosti, spogliati di ogni diritto. Tutti vittime di una litania a cui ormai è difficile credere: che esista una buona flessibilità, volàno di crescita e sviluppo, che basti tagliare i diritti e i costi del lavoro per produrre benessere e ricchezza. In molti la pensano così, anche nel governo che è riuscito a mettere in cantina Berlusconi e che a gennaio aprirà i tavoli per ridisegnare il mercato del lavoro e il sistema previdenziale.