Difficile tenere i conti quando si hanno più di 500 basi militari sparse per il mondo. 525 per la precisione. Ancora più difficile per i senatori americani individuare con precisione Vicenza. Fosse stata Roma, Firenze o Venezia, ancora ancora. Ma Vicenza! Un filo di popolarità l’ha avuta ultimamente Como, presente nei magazine patinati d’oltreoceano grazie alla passione di George Clooney per i suoi lidi placidi e ameni. Ma Vicenza, Vicenza ben pochi sanno dove sia.
E’ bastato però nominare il Palladio per attirare l’attenzione dei congressisti, soprattutto delle congressiste americane. Il nome dell’architetto vicentino l’ha tirato fuori una delegazione di parlamentari italiane: Tiziana Valpiana ed Elettra Deiana di rifondazione, Lalla Trupia dei Ds, Laura Fincato della Margherita e Luana Zanella dei Verdi. Cinque donne che si sono messe in testa di perorare la causa della cittadina veneta direttamente a casa di chi vuole raddoppiare la base Nato proprio sotto il sedere dei capolavori palladiani. Un viaggio pieno di sorprese. Su tutte, ed è questa la notizia del giorno, il fatto che il famoso finanziamento per la base di Vicenza deve ancora essere esaminato. Insomma la famosa dead line del 1 febbraio, la data entro la quale il governo italiano avrebbe dovuto dare l’ok ad Ederle2, pena la perdita dei finanziamenti, era del tutto inesistente. Inesistente, proprio così. Washington non ha mai deciso il finanziamento della base di Vicenza, ha soltanto sommariamente programmato il finanziamento di tutte le base militari sparse in mezzo mondo. Un specie di Dpef (il documento propedeutico della finanziaria), che altro non è se non un calderone dove è possibile trovare di tutto. Qualche riga sarà stata dedicata anche alla base di Vicenza, certo, ma nulla di più. Insomma – ed è questa la domanda che si sono poste e che gireranno a chi di dovere le parlamentari italiane – chi ha mai detto a Prodi che la data massima per l’ok alla base era il 1 di febbraio quando il finanziamento si vota e si decide tra giugno e settembre?
Sarà stata l’abilità di Berlusconi nell’aver tirato fuori in quei termini il problema, o quel nervo scoperto del premier che ha sempre il terror panico di passare per antiamericano, fatto sta che per i congressisti di Washington Vicenza è una parola vuota che richiama la mente il Palladio e non certo la base Usa. Come si sia arrivati a questa commedia degli equivoci è un mistero ancora tutto da chiarire. Di certo c’è solo la determinazione delle cinque parlamentari che stanno organizzando un’interrogazione parlamentare e la speranza concreta di provare a riaprire una partita che sembrava chiusa: «Se c’è la volontà politica del governo – ha dichiarato Valpiana – ci sono margini istituzionali per fermare la costruzione del Dal Molin».
L’idea che le cinque parlamentari si sono fatte nel corso della missione d’oltreoceano è che delle proteste italiane «se ne sappia assai poco ma, soprattutto, che si sia all’oscuro del fatto che non ci sia stato il coinvolgimento della popolazione vicentina». Decisivo per le deputate l’incontro con Michael Sheehy, segretario particolare di Nancy Pelosi, portavoce del congresso Usa, il quale rispondendo alle loro perplessità in merito all’allargamento della base di Vicenza ha ribadito l’inesistenza del «finanziamento fino a che non ci sarà un voto del congresso che lo approva».
A questo punto il governo ha tutto il tempo di tornare sulla decisione: «Rivedere l’approvazione del raddoppio della base di Vicenza – ha ribadito Valpiana – non comporterebbe alcuna conseguenza negativa sul bilancio degli Stati Uniti».
Immediate le reazioni del mondo politico. Su tutti il capogruppo al senato Giovanni Russo Spena che chiede un intervento del governo: «Le notizie che le parlamentari che sono state negli Stati Uniti ci portano sono molto interessanti. Per gli Usa Vicenza non è ancora un progetto stanziato e c’è un margine di tempo per intervenire. Noi pensiamo che il governo debba chiedere che gli Usa rivedano la loro decisione».