Leone: «I nostri no sulle pensioni»

Con Betti Leone, segretaria generale del sindacato dei pensionati della Cgil, parliamo subito dopo la conclusione del convegno nazionale che lo Spi ha organizzato a Napoli, riunendo intellettuali e sindacalisti, donne e uomini, a discutere: «Per la dignità della persona- Riflessioni sulla società contemporanea». La vostra due-giorni napoletana, commentiamo con Leone, entra immediatamente anche nel confronto politico con il governo, la «dignità della persona» si incarna nella condizione concreta di milioni di vite…«E’ indubbio: il riferimento per le pensioni, e non solo, è al «reddito dignitoso» secondo la Costituzione, e il tema della ‘non autosufficienza’ richiama la presa in carico degli ‘ultimi’». La conversazione si sposta dunque sui «tavoli di concertazione» che esordiscono oggi, dopo l’apertura ‘ufficiale’ del 22 marzo.
Romano Prodi ancora ieri sulle pensioni ha parlato del problema di quelle «minime». Questione fondamentale, ma vi basta?
Assolutamente no, ed è preoccupante che si parli solo della necessità di ‘alzare le pensioni basse’ e basta. Per noi la questione riguarda invece il tema della rivalutazione di tutte le pensioni. Perché dal 1992 le pensioni non sono più legate alla ricchezza prodotta. E’ prevista una rivalutazione, parziale, solo rispetto all’inflazione, e solo per i primi tre scaglioni «minimi» dei redditi pensionistici. Il risultato è che in dieci anni le pensioni hanno perduto fra il 15 e il 30 per cento del potere d’acquisto. Fra l’altro, si parla tanto del bisogno, per la salute dell”economia’, di rilanciare ‘la domanda interna’, ma come si pensa di farlo, con il 25 per cento degli italiani oltre i 60 anni, se si diminuisce il loro reddito?
Però, nel cruciale 1992, degli accordi centralizzati, si consentì di sganciare le pensioni dai salari…
In verità, nel ’92 quando si eliminò l’aggancio, era previsto che si istituisse un ‘tavolo contrattuale’ per rimediare alla perdita di reddito delle pensioni. Invece non se ne fece più niente. Questa può essere una via, un ‘tavolo’ annuale o biennale…Ma oggi ci dicono che non si può di botto rivalutare i redditi di tutti i 16 milioni di pensionati. Noi dello Spi rispondiamo d’accordo, si parta dalle pensioni più basse ma con un ‘impegno strategico’ che riguardi tutte le altre.
Un impegno nero su bianco, entro questa legislatura?
Assolutamente sì. Perché certamente noi vogliamo l’aumento delle pensioni minime, è per noi un punto ineliminabile di solidarietà: ma non si può ridurre il tema a una questione pauperistica, quello che è in gioco è il ‘reddito degli anziani’. Questo è uno dei problemi della Riforma Dini, così come quello delle basse pensioni del lavoro discontinuo, sia quello vecchio, che riguarda ad esempio gli edili, che quello ‘nuovo’, di tutti i giovani con occupazioni precarie.
Falle della legge Dini, dici, e arriviamo subito all’«aggiornamento dei coefficienti». Tradotto: chi si trova a «regime contributivo», ossia tutti coloro con meno di 18 anni di contributi versati a fine ’95, siccome le ‘aspettative di vita’ sono aumentate, avrà la pensione tagliata.
E’ così, sarebbe una diminuzione della loro pensione del 6-8%, e trovo paradossale che si cerchi di far passare questa pretesa come un ‘aiuto’ ai giovani: è chiaro che invece li si danneggia, e che questa intenzione ha il solo scopo di rassicurare il Fmi, i vertici europei, i mercati internazionali.
Paradosso, o ipocrisia, sostenere che i ‘coefficienti’ sono ‘pro-giovani’, quando invece si cerca il consenso dei mercati internazionali? E non solo i giovani, ma anche le donne di ogni età sono colpite…
Sicuramente, perché lecosiddette ‘carriere interrotte’ femminili, vedono moltissime donne cadere per una quota nel ‘regime contributivo’ e dunque rimetterci subito, all’indomani di una decisione sui ‘coefficienti’. Ma l’altro problema che ci preme come sindacati dei pensionati è la mancata legge sulla ‘non autosufficienza’: colpisce 2.800 mila persone.
Quasi tre milioni di donne e uomini ‘non autosufficienti’ senza sicurezza né legge?
E’ così. La legge sulla ‘non autosufficienza’ è sparita alla vigilia dei ‘tavoli’. l’80% di questi 2.800 mila sono anziani – gli altri giovani mutilati dal lavoro o per altri incidenti. Faccio notare che due milioni e mezzo di famiglie hanno a carico un ‘disabile’, tanto per chiarire la carica ideologica di chi parla continuamente di «famiglia» astratta, e e cancella questi probemi.
Veniamo all’altro tema, alzare l’età della pensione. Eppure, valutzioni non ‘di parte’, smentiscono un affanno dei conti Imps. E statistiche europee rilevano che gli italiani non lasciano il lavoro prima dei 612 anni…
E’ così. E aggiungo che negli ultimi anni le donne escono dal lavoro ancor più tardi degli uomini. Mentre, in tutt’Europa, c’è un’espulsione precoce, contro il loro volere, di lavoratori. Bene, come Spi siamo per la permanenza al lavoro di chi, e solo di chi, lo desidera. Ma un aumento dell’età pensionabile per legge, no.