MOSCA— Piazza Rossa, mausoleo di Lenin. Sessanta delegazioni dei partiti comunisti e progressisti del mondo fanno la fila per onorare il padre della Rivoluzione d’Ottobre. C’è anche quella del Partito dei Comunisti italiani, guidati dal segretario Oliviero Diliberto. È la vigilia del novantesimo anniversario, snobbato dalle autorità e dai moscoviti ma non da Ghennadi Zjuganov, irriducibile capo del Partito Comunista russo, che ha organizzato le celebrazioni come una volta, quando c’era l’Urss e il 7 novembre era la più importante e popolare delle feste nazionali. La visita al sarcofago di cristallo in cui si conserva la salma di Lenin era uno dei riti più sovietici: contemplava l’omaggio al grande morto ma anche al grandissimo vivo, il leader dell’Unione Sovietica.
La visita si è appena conclusa, Diliberto ha avuto il privilegio di posare un mazzo di garofani rossi davanti alla bara di Lenin. Qualcuno gli chiede: lo sa che Putin non vuole più la mummia di Lenin sotto il Cremlino? «Se i russi non la vogliono più, potremmo portarla a Roma»,ribatte prontissimo Diliberto. È solo una battuta. Si trasforma in un caso politico. Una spirale infinita e quasi grottesca di reazioni a catena. Tra Roma e Mosca, è uno scambio incessante di interventi, più da cabaret che da Palazzo: «D’accordo, possiamo accettare la proposta di Diliberto», replica per esempio Maurizio Gasparri, «a patto che i russi si prendano in cambio Diliberto». O Luca Vo-lonté, capogruppo di Udc alla Camera: «Se Diliberto vuole portare a casa sua o nella sede del suo partito la mummia di Lenin, faccia pure. L’Italia non può certo permettersi di diventare un ricettacolo di emuli dei genocidi comunisti d’Europa. Forse quella di Diliberto è stata solo una battuta, magari dovuta al freddo polare e corroborata con qualche bicchierino di vodka locale…».
La dichiarazione di Volonté plana – via Internet – sul Vaio del
portavoce di Diliberto. Complice Internet, il segretario del Pdci ribatte: «Quanto ai vizi, i bicchieri di vodka sono assai più innocenti di quelli che si consumano all’ hotel Flora pagando donne e droga». Plateale riferimento allo scandalo di Cosimo Mele, il deputato Udc che aveva ingaggiato due prostitute per un droga party. D’altra parte,la destranon va tanto per il sottile: «Aldilà delle battute», aveva infatti detto Maurizio Gasparri, «è davvero triste avere personaggi così squalificanti per il nostro Paese che girano per il mondo. Forse Diliberto farebbe bene a trasferirsi in Cina o in Birmania o in altri posti dove il comunismo e le dittature dettano legge». Il bello è che intanto – in Italia – c’era chi discuteva su dove piazzare l’eventuale mummia. In Senato? Alla sede del Pdci? L’immancabile Roberto Calderoli, vicepresidente leghista al Senato, non poteva assistere e tacere: «Visto lo sfratto coatto della mummia di Lenin e le preoccupazioni dei comunisti nostrani, che hanno problemi su dove collocarla, mi offro volontario: sono «pronto a metterla a casa mia, dove sarà sotto stretta sorveglianza dei lupi, e dove, forse, sarà utile peribisogni dei cani…». Caldero-li si beccava l’arguta risposta di Severino Galante: «Tra lupi e cani Calderoli sta ovviamente bene e fa la sua figura: come sempre, da bestia». Stufo, forse, di questo assurdo teatrino, Diliberto chiosava in fin di serata: «E’ come il fantasma che si aggira per l’Europa: la salma di Lenin fa ancora paura». Sarà un caso, ma alla cerimonia di chiusura di “Solidnet”, il lungo meeting tra Minsk e Mosca per le celebrazioni del Novantesimo, sul palcoscenico della Sala delle Colonne, mitico luogo dei forum sovietici, dopo inni struggenti, canzoni partigiane, tonanti cori soviet, melassa cinese e Guantanamero cubane, irrompeva proprio Lenin. In persona. O meglio, interpretato da un attore-sosia che recitava una scena di “Kremljovskije Ku-rantj ” : «La mummia si è materializzata», gli è scappato di bocca a Diliberto.