L’Eni «espropriata»? No, non pagava le tasse

Il National Endowment for Democracy deve avere avuto dalla Cia un input impellente. Perché due notizie improbabili fatte circolare in questi giorni e pubblicate una dietro l’altra da Corriere della Sera e Repubblica, su allarmanti decisioni che Hugo Chávez, presidente del Venezuela, starebbe per mettere in atto, sono un vero e proprio record del mondo di disinformazione politica.
In tre giorni il governo bolivariano di Caracas è stato accusato prima di «espropriare» la nostra Eni dai giacimenti avuti in concessione anni fa in Venezuela daI disinvolti presidenti come Calderas e Carlos Andrés Pérez, e poi addirittura di preparare uno sbarco nelle Antille olandesi e in particolare ad Aruba tanto da mettere in allarme l’aviazione e la marina del governo dell’Aja.
Io non so se nel paese dei tulipani siano in allarme, come la Gran Bretagna della Thatcher all’epoca in cui la feroce dittatura argentina (in mano in quel momento al generale Galtieri) decise, per trovare uno sbocco alla sua imminente rovina, che le isole Falklands dovevano tornare a chiamarsi Malvinas, immolando in quella follia alcuni migliaia di giovani.
Quello che mi pare chiaro invece è che l’usuale lavorio di propaganda che gli Stati Uniti mettono in marcia, ogni volta che vogliono screditare un governo non allineato ai loro progetti o far accettare all’opinione pubblica internazionale una ennesima prepotenza pensata e pianificata dal Dipartimento di Stato, ha avuto inizio nei confronti di Hugo Chávez.
Un’azione dettata dall’incidenza che le scelte economiche e politiche del ex colonnello stanno avendo tanto nelle strategie dell’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio (Opec) quanto nel nuovo vento che spira in America Latina.
L’accordo di collaborazione ed integrazione nella politica petrolifera firmata dalla Pdvsa (la compagnia di stato venezuelana) con la Petrobras bresiliana e la Ypf argentina, cosi come l’appoggio prossimo all’azienda nazionale boliviana che Evo Morales farà sorgere per la gestione degli idrocarburi sottratti al saccheggio delle multinazionali favorito dal ex presidente Sánchez de Losada, hanno fatto diventare Chávez un incubo per le multinazionali nordamericane e non, abituate a disporre del greggio e delle risorse dei paesi latinoamericani, come di una cosa propria. Per questo la resistenza delle popolazioni indigene dell’Equador al tentativo degli Stati Uniti di costringere il presidente facente funzione Palacio a firmare l’accordo sul’Alca , il trattato di libero commercio, ha messo in questi giorni quel paese sulla soglia di una guerra civile.
Senza dimenticare «il cattivo esempio» che Hugo Chávez, secondo gli impresentabili guru dell’economia e della finanza speculativa, starebbe dando, non reinvestendo nel petrolio tutti gli enormi guadagni che il prezzo dell’oro nero attualmente assicura, ma destinando buona parte di queste cifre ad una capillare politica sociale di riscatto della gente dei ranchitos, quasi quattro milioni di cittadini fino a ieri senza identità e soprannominati «gli invisibili». Un vero scandalo ed un vero esempio disdicevole in un paese dove i presidenti ed i politici e lo stesso sindacato corrotto della Pdvsa erano soliti, fino alla fine degli anni 90, a vendersi privatamente le ricchezze nazionali.
È forse per questa abitudine che l’Eni e la Total , uniche fra 18 compagnie petrolifere (fra le quali colossi come la Repsol, la Chevron, la Shell, oltre a Petrobras e Ypf) si sono rifiutate di firmare i nuovi accordi di concessione proposti dal governo venezuelano che, per porre fine al saccheggio dei giacimenti nazionali compiuto negli ultimi anni, ha deciso una nuova regolamentazione che presuppone per lo sfruttamento dei giacimenti la nascita d’imprese miste dove lo stato, come in qualunque paese evoluto del mondo proprietario di risorse, abbia la maggioranza. In risposta Total ed Eni, che pagavano somme ridicole di royalties, e avevano violato le nuove leggi eludendo le tasse, hanno deciso di ritirarsi dal Venezuela.
Ci piacerebbe sapere quale «esproprio» o quale «sequestro» sarebbe stato perpetrato ai danni dell’Eni. Non a caso il Corriere della Sera, il giorno dopo aver pubblicato questa singolare interpretazione della vicenda dell’Eni in Venezuela, ha sentito il bisogno di chiarire l’argomento con un lucido approfondimento di Franco Venturini anch’esso onorato di un titolo in prima pagina.
Sul Venezuela comunque siamo ormai preparati, come per anni è accaduto per Cuba e altre nazioni latinoamericane e, più recentemente, per l’Afganistan, l’Irak e l’Iran, a qualunque tipo d’informazione incorretta o addirittura grottesca. Però che Chávez stia preparando una guerra d’indipendenza delle Antille olandesi, mi pare proprio una barzelletta. Oltre tutto, per rispetto degli altri premier latinoamericani che appoggiano l’attuale politica estera del Venezuela (anche se in Europa molti non se ne sono accorti). Certo c’è sempre un Ned o un Reporter sans frontières pronto a cavalcare queste panzane.