L’emigrazione messicana negli Usa: sogni e realtà

Immigrati a tempo, chiedeva il confindustriale Sole-24 ore di martedì scorso, come soluzione dei problemi – di lavoro e di sicurezza – dell’immigrazione in Italia. Problemi caricati, diceva, di troppa demagogia e troppo poco pragmatismo. E proponeva, a mo’ di esempio da seguire, “forme di immigrazione temporanea” del tipo di quelle dei lavoratori palestinesi in Israele e dei lavoratori messicani negli Stati uniti.
Ovvero come presentare un problema di cui si discute in modo troppo demagogico, in termini di pura demagogia. Torneremo sui contratti di “immigrazione temporanea” dei lavoratori palestinesi, “sperimentati con successo in Israele”. Soffermiamoci ora sul coté messicano richiamato. Una filosofia, scriveva, che “si sta facendo strada, soprattutto per iniziativa del senatore del Texas, Phil Gramm”.
E’ vero che nel gennaio scorso il senatore repubblicano dello stato di confine di cui il presidente Bush jr è stato governatore, ha guidato una delegazione del senato Usa a Città del Messico, dove ha illustrato un programma di “lavoratori ospiti” (“guest-worker program” che si propone l’obiettivo di portare più lavoratori messicani a tempo e “legalmente” negli Usa.
Dopo la delegazione Gramm, in febbraio c’è stata la prima visita di Bush in Messico, per un fugace incontro con il neo-presidente Vidente Fox e, qualche giorno fa, la visita di una seconda delegazione di senatori Usa in Messico guidata dal senatore Jesse Helms, presidente della Comissione esteri del senato e il più feroce nemico del “comunismo” e dell’America latina.
I nordamericani puntano molto sul conservatore Fox. Helms ha scambiato sorrisi e photo opportunities con Fox e con i senatori messicani. Ha parlato di “un futuro di cooperazione, amicizia e mutuo rispetto” e ha affermato che “il miglior modo per scoraggiare l’immigrazione illegale negli Stati uniti è incoraggiare in Messico le riforme di mercato e le opportunità economiche”, gli stessi impegni presi da Fox che lui si impegna “a aiutare perché siano raggiunti”. Ma… Ma allo stesso tempo ha ricordato al Messico che è suo dovere garantire l’impenetrabilità del confine Usa-Messico, già protetto da marchingegni elettronici degni del muro di Berlino e da un apparato militare che sovente sfocia nella “caccia al messicano” da parte di bande di vigilantes armate dai rancheros degli stati meridionali degli Stati uniti.
Fox, nella sua campagna elettorale, ha battuto su ben altri tasti. Chiedendo sì anche i permessi temporanei di lavoro per i guest-workers messicani e la concessione di più visti d’entrata da parte Usa ma, prima e di più, un’amnistia per gli indocumentados che già sono riusciti e perforare il muro (rischiando la vita), il loro inserimento nei programmi di stato sociale garantiti a nord del Rio Grande e, in prospettiva, “il libero movimento” di persone fra i due paesi.
E’ vero che il Nafta – l’Accordo di libero scambio fra Usa, Messico e Canada in vigore dal ’94 -, in 7 anni ha triplicato il commercio bilaterale e ha portato il 90% delle esportazioni messicane a trovare uno sbocco sul mercato degli Stati uniti. Però il “libero scambio” riguarda, come sempre, solo i capitali, le merci e i servizi, non le persone. E’ logico. Fino a quando un operaio messicano delle maquiladoras di Tijuana, Ciudad Juarez, Piedras Negras, Nuevo Laredo, Matamoros guadagnerà 4-5 dollari per una giornata lavorativa di 12 ore per 6 giorni alla settimana – e quasi sempre per lavori micidiali per la salute e senza alcuna protezione sindacale -, sarà irresistibile la spinta a passare il confine. Nelle città-gemelle di San Diego, El Paso, Eagle Pass, Laredo, Brownsville, il salario per una giornata di lavoro di 6-8 ore è di 60 dollari. Dall’altra parte del Rio Grande è come ci fosse il paradiso, di cui spesso si vedono le luci.
Ma per quanto ci vorrà perché il ventaglio differenziale dei salari (oltretutto i lavoratori della maquila si devono considerare privilegiati rispetto a quel 40% dei 100 milioni di messicani che vivono con uno o due dollari al giorno) si riduca, dal rapporto di 8-10 a 1 di adesso, a un livello tale da frenare la necessità di tentare l’avventura. Muro o non muro, amnistia o non amnistia, immigrazione a tempo o permanente?
Gli Stati uniti di Bush – come quelli di Clinton – non sembrano affatto disposti ad aprire il confine né a concedere amnistie né a regolare i flussi immigratori dei barbari del sud. Che sono già fra i 7 e i 10 milioni, di cui la metà indocumentados, ossia clandestini. La proposta di Phil Gramm, come quella del Sole, rischia di essere – e rimanere per lungo tempo – un wishful thinking. Per cui del resto il senatore texano sembra avere una vocazione: non fu lui a proporre, nel luglio scorso, l’entrata dell’Inghilterra nel Nafta?