Gli operai della Breda ferroviaria di Pistoia si chiedono perché mai il loro padrone – la Finmeccanica – trascuri quella fabbrica fino a metterne a rischio il futuro. Sospettano – fondatamente – che il gruppo a proprietà «pubblica» privilegi le merci di guerra a scapito delle miti carrozze dei treni. Quando alzano il capo dalle linee di montaggio e guardano a ciò che succede dal Libano all’Afghanistan, capiscono il perché. Quello spreco di armiè uno dei più grandi affari contemporanei e i governanti del mondo non fanno una piega. Che poi quell’affare comporti uno «spreco» di vite, viene considerato un problema secondario, almeno fino a quando l’esistenza in gioco non è la propria. Ma bisognerebbe essere meno miopi, trarre qualche lezione dal passato e sapere che gli incendi non sono sempre circoscrivibili, nemmeno dal migliore pompiere del mondo. E sapere che la politica estera diunpaese comporta scelte di fondo, non è una sommatoria di generali e ambasciatori, è il risultato di ciò che unpaese è o vuole essere. Da che cosa si produce a con chi ci si allea. La nostra politica estera è da sempre priva di respiro strategico e di autonomia. La inaugurò così Camillo Benso, conte di Cavour: propria di un piccolo regno che, passando da un’alleanza a un’altra, voleva conquistare una nazione. E una volta fatta – la nazione -, la politica estera restò la stessa, tracheggiando tra i potenti e finendo col diventare sostanzialmente subalterna al potente alleato di turno. Che da un po’ d’anni corrisponde alla potenza incarnatasi in un solo stato. Insomma, non è una politica estera, è un elastico cui si è agganciati, che permette solo piccoli «allontanamenti ».Ma fino a un certo punto, per non spezzare l’elastico. E’ per questo che dall’Iraq ce ne possiamo andare, ma dall’Afghanistan no, è per questo che di Israele si possono condannare gli eccessimanonla strategia. Il confine è quello, il campo d’azione definito. Anche il governo in carica – di centrosinistra e che abbiamo votato – risente della teoria dell’elastico. Puòavvalersi dell’intelligenza e dell’abilità del suoministro degli esteri per allungarlo un po’ (l’elastico), ma deve restare nei limiti. A costo di dover sopportare profonde crisi coscienza di tanti suoi sostenitori e di qualche parlamentare. Ma la politica estera non si fa con le crisi (o prese) di coscienza, né conuno sporadico voto parlamentare. Che sull’Afghanistan è lo specchio crudele di ciò che – almeno per ora – possiamo essere. Il governo in carica non cadrà per colpa di Kabul, neanche al senato (nemmeno se otterrà qualche voto del centrodestra). Ed è un bene che sia così, perché è il semplice riflesso di ciò che siamo.Maper essere un’altra cosa è altrettanto un bene non rinunciare a premere per rompere quell’elastico, dentro il parlamento e soprattutto fuori. Per offrire una sponda a chi oggi non riesce proprio a fare di più e far sì che,magari nel più breve tempo possibile, trovi il coraggio di ritirare le truppe da tutti i teatri di guerra, di alzare la voce con Israele per salvare quello stato dalle proprie tendenze suicide, di lavorare per il disarmo del Medio Oriente. Insomma, per cominciare ad avere una politica estera. Se ne gioverebbero anche gli operai della Breda di Pistoia.