Legge 30, nove su dieci restano precari

Cgil: si aggrava l’abuso delle collaborazioni fasulle. Salario «atipico»: meno di 800 euro al mese
Per sempre a termine? Cgil, Nidil e Unione si confrontano sul futuro dei precari: «Riportare al centro il tempo indeterminato»

Nell’Italia del declino la precarietà dilaga come un’epidemia. Non è affatto incoraggiante il quadro tracciato ieri dalla Cgil, che a un’iniziativa comune con l’Ires e il Nidil, ha chiamato i partiti dell’Unione a confrontarsi con il lavoro «atipico». Usiamo le virgolette non a caso, dato che secondo i dati diffusi dal sindacato, ben il 70% dei nuovi ingressi nel mercato del lavoro nel 2004 sono avvenuti con contratti a termine. Il risultato più evidente è l’assoluto «fallimento» (ma dalle nostre parti, francamente, non ci attendevamo un effetto positivo) della legge 30: delle 49 tipologie contrattuali introdotte, a due anni dall’approvazione, ne vengono applicate cinque o sei, con grandissime difficoltà delle stesse aziende ad avere a che fare con un lavoro troppo frammentato. Intendiamoci, questo non vuol dire affatto che le imprese abbiano fatto poco ricorso alla flessibilità: al contrario, viene smentito l’annuncio ripetuto più volte dal governo e dal sottosegretario Sacconi, secondo cui la legge 30 avrebbe fatto piazza pulita delle collaborazioni fasulle, riconducendole nell’alveo del lavoro dipendente: ebbene, secondo un’elaborazione fornita dall’Ires dei dati Istat, dopo un anno solo il 4,9% dei cococo ottiene un posto a tempo indeterminato, mentre il 95,1% dei precari non muta la propria condizione di incertezza: nello specifico, ben l’88,2% diventa a progetto (o rimane cococo), mentre i restanti si dividono tra i tempi determinati, gli interinali, gli occasionali.

E’ difficile quantificare i collaboratori, data la brevità – spesso – dei loro contratti: se però si sono iscritti allo speciale fondo Inps, dal 1996 a oggi, ben 3.339.417 persone, il numero reale si riduce a chi versa effettivamente i contributi (visto che non esiste l’obbligo di cancellazione): nel 2003 le posizioni attive presso l’Inps erano 1.785.856. Molti di più, dunque, dei 407 mila quantificati dal governo, che si basa sulle rilevazioni Istat: l’istituto, infatti, si basa sulle interviste relative a una sola settimana, che certo non colgono la reale entità di un fenomeno così volatile. D’altra parte, nel 2003 i contributi versati al fondo parasubordinati sono stati pari a 3,266 miliardi di euro: rapportati a 400 mila contribuenti, darebbero un compenso medio annuo di 58.321 euro lordi (oltre 4 mila euro netti al mese); rapportati a 1.700.000 persone, si arriva a 13.063 euro annui lordi (circa mille). E’più credibile la prima cifra o la seconda?

Ecco dunque il profilo del collaboratore: la maggioranza guadagna meno di 800 euro netti al mese, mentre, come spiega la ricerca presentata dal direttore Ires Giovanna Altieri (sempre su dati Istat), nove lavoratori su dieci (il 92%) sono monocommittenti (hanno un solo datore di lavoro). L’83% lavora in ufficio, e il 61% non decide autonomamente il proprio orario.

Con tutti questi numeri casca l’asino: se è vero che il lavoro subordinato mascherato da collaborazione è proliferato a partire dalla riforma Dini del centrosinistra, che ha creato la figura del parasubordinato, è ancor più vero che, lungi dalle promesse di Sacconi, con la legge 30 la situazione è rimasta immutata se non addirittura peggiorata: c’è stato un semplice travaso dai cococo ai lavoratori a progetto, con piccole fughe verso le partite Iva o il lavoro nero. I giovani restano condannati all’incertezza, e nel frattempo invecchiano: un terzo dei collaboratori ha tra i 30 e i 39 anni. Le donne rappresentano il 61% del totale.

In questa prospettiva, il Nidil – con la relazione di Emilio Viafora – ha fatto un passo avanti rispetto al passato, quando si trovava sulla linea «ottimista» del centrosinistra e si limitava a chiedere semplici ammortizzatori sociali a sostegno della «flessibilità buona». Adesso il nucleo centrale delle rivendicazioni all’Unione, ribadite dai segretari Fammoni e Piccinini, è in linea con il progetto di legge Cgil, che chiede la riconduzione di tutto il lavoro «economicamente dipendente» (collaboratori monocommittenti e subordinati) sotto le medesime regole, non dimenticando di parificare i compensi e i contributi pensionistici, in modo da non rendere le collaborazioni più convenienti (un collaboratore costa un 40% in meno di un dipendente). Viafora chiede di «abrogare l’impianto normativo alla base della legge 30» e che «si confermi la centralità del tempo indeterminato come tipologia ordinaria dei rapporti di lavoro». E aggiunge che «deve essere il contratto nazionale a favorire processi di stabilizzazione, a definire figure professionali, causali e percentuali nel ricorso alla somministrazione e alle collaborazioni», oltre a «definire compensi non inferiori a quelli del lavoro dipendente e l’esercizio dell’insieme dei diritti».

Per l’Unione, Alfonso Gianni (Prc) ha apprezzato la centralità assegnata al tempo indeterminato e considerato un «punto di partenza buono» il progetto sul lavoro economicamente dipendente. Ha anche sottolineato l’importanza del salario sociale. Roberto Guerzoni (Ds) ha insistito sulle politiche pubbliche per lo sviluppo, gli incentivi alle imprese per la stabilizzazione, l’allineamento contributivo dei collaboratori ai dipendenti.