L’economista Pizzuti: «Sono gli effetti di crescita del Pil e fine dei condoni»

Migliorano i conti pubblici. Di chi è il merito? E, soprattutto, è una situazione destinata a durare? Lo abbiamo chiesto a Felice Roberto Pizzuti, professore di Politica Economica all’Università di Roma La Sapienza. «Il miglioramento del fabbisogno – spiega Pizzuti – è ascrivibile essenzialmente all’aumento delle entrate, visto che le spese non sono diminuite. Tale aumento è imputabile per un parte alla crescita del Pil, che è passato dallo 0% a un +1,7%, e all’effetto positivo per le casse dell’erario derivante dalla fine dei condoni e dalla diffusa convinzione che sarà attuata una più ferma lotta all’evasione». Secondo lei,siamo di fronte a un miglioramento congiunturale o strutturale? Si tratta di un miglioramento strutturale, almeno nel medio periodo, perché adesso si è alzato in modo stabile il livello di reddito dichiarato ai fini delle imposte e perché tutti gli indicatori dicono che la crescirà proseguirà. Questo andamento potrà essere consolidato grazie alle misure adottate dal governo per la lotta all’evasione e al sommerso. I commercianti dicono: adesso che i conti vanno meglio possiamo abbassare le tasse.
L’impostazione di politica economica del governo inserita nel Dpef già scontava il fatto che il riaggiustamento dei conti pubblici in tempi stretti avrebbe condizionato negativamente la crescita e i consumi. L’aumento delle entrate, niente affatto sorprendente, dovrebbe essere preso in considerazione anche per rivedere quella linea. Abbiamo bisogno di un rilancio dell’economia e il modo migliore per ottenerlo non è restituire le tasse ma aumentare la spesa. Non certo a pioggia, ma con finalità mirate agli investimenti innovativi e al miglioramento degli equilibri sociali. Da questo punto di vista, anche a livello previdenziale sarebbe bene dare più sicurezza all’opinione pubblica, anziché aumentare l’incertezza con minacce di peggioramento delle condizioni di pensionamento, come la revisione dei coefficienti o l’innalzamento dell’età pensionabile, cosa che in questo momento contrasterebbe anche con la condizione del mercato del lavoro. Si riferisce agli ultracinquanteni espulsi dalle fabbriche? Mi riferisco al fatto che, in presenza di una disoccupazione ancora molto consistente, forzare un aumento dell’età di pensionamento servirebbe solo a impedire l’ingresso di un giovane più produttivo e formato in cambio della permanenza di un anziano desideroso di smettere di lavorare. Il risultato sarebbe nullo ai fini del tasso di occupazione e peggiorativo ai fini della produttività. L’aumento delle risorse fiscali andrebbe invece utilizzato su questo fronte, che è quello di incentivare investimenti innovativi e ammortizzatori sociali. Altrimento avremmo perseguito solo il miglioramento dei conti ma non anche gli altri due obiettivi spesso annunciati, che sono la ripresa della crescita e il miglioramento dell’equità.