Quando il gioco si fa duro Repubblica non risparmia pagine. Di sciocchezze. Affidandole ai suoi sciocchezzatori di punta. Caratteristica principale dello sciocchezzatore – quando non si libri nel vasto cielo delle bugie – è quella di aggrapparsi al dettaglio per divagare nel grande mare delle analogie. Specialista di queste virtù è il noto Gairton Ash, quello che credette sinceramente a tutte le panzane di Rumsfeld e di Colin Powell prima della guerra irachena, ricamandovi sopra intere vagonate di sciocchezze, per poi riconoscere l’abbaglio, ma anche per accusare contestualmente Saddam Hussein, reo (oltre che novello Hitler) di averci tutti tratti in inganno per non aver dichiarato per tempo che non le aveva, le armi di distruzione di massa.
Ma questa volta, si presume, Gairton Ash non ha ancora scritto, e dunque ci si affida agli sciocchezzatori nostrani, cui si è aggiunto occasionalmente anche l’inedito Michele Serra. Per altro Sofri e Rampoldi fecero parte attiva, ai tempi delle guerre precedenti, nell’additare Saddam Hussein, come l’Hitler di turno. E non risulta che alcuno di loro si sia levato anche solo a suggerire che, magari, quella fialetta memorabile sollevata dal Colin al Consiglio di Sicurezza dell’ONU fosse piena d’inchiostro, o d’altre sostanze coloranti innocue di quelle che servono per rendere attraenti gli shampoo o le caramelle.
Sofri esordisce volando come un bombardiere, contro Gino Strada,
ricordandoci che l’intervento della NATO fu “autorizzato e ora implorato
dall’ONU”. Si è dimenticato che appena nel 1999, per strana ma provvida coincidenza, le regole della NATO furono cambiate a Washington, senza che nemmeno i parlamenti degli alleati fossero informati. Quello italiano nemmeno ne discusse. E non si trattava di un cambiamento da poco. Vogliamo ricordarglielo: la NATO estendeva, con le nuove regole, il suo campo d’azione a tutto il pianeta e, al contempo, si autorizzava a svolgere funzioni preventive (cioè ad agire solidarmente non più solo in caso di attacco contro uno dei membri, ma a prescindere, in base a valutazioni di altro genere, sicurezza, prevenzione, peace keeping, peace enforcing etc).
Si è dimenticato, lo sciocchezzatore Sofri, che l’intervento in Afghanistan
fu deciso dall’Amministrazione Bush prima che l’ONU lo autorizzasse, anzi, per la precisione, ben prima dell’11 settembre 2001. E si è dimenticato anche che l’offensiva si chiamava inizialmente (quale lapsus!) “Infinite War” e poi “Enduring Freedom”. La tardiva autorizzazione dell’ONU non ha mai riguardato la partecipazione della NATO a Enduring Freedom . Infatti la NATO, di cui non tutti i membri sono gonzi, si limitò a inviare un contingente che aveva, all’inizio, funzioni di polizia limitate alla regione di Kabul e non abilitato a partecipare ad azioni di guerra. Senza dimenticare che noi non viviamo nell’empireo dei buoni sentimenti e che le Nazioni Unite, in questi anni, sono state bistrattate e violentate dai membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, per cui le loro decisioni sono anch’esse soggette allo scrutinio di legittimità. E può accadere (perché è accaduto più di una volta) che l’ONU abbia preso decisioni che contrastano
perfino con il suo statuto. Stiamo assistendo, per esempio, all’aggressione militare su larga scala da parte di Israele contro il Libano sovrano. E l’ONU cosa fa? Fa il Ponzio Pilato, di fronte alla violazione del suo statuto. E’ questa la giusta posizione, cui fare riferimento? Niente affatto, non appena si capisca che
l’ONU è costretta a riflettere anch’essa i rapporti di forza. E se, in
queste condizioni, pronuncia un verdetto, dobbiamo sapere che esso altro non è che l’effetto dei rapporti di forza, non la verità ultima e inappellabile.
Adriano Sofri non lo sa? Ma se non lo sa perché scrive di cose che non sa? E se lo sa perché mescola criteri etici astratti a considerazioni di realismo politico spicciolo, usando gli uni e le altre come meglio gli fa comodo, volta a volta, per esercizio polemico?
La prima sciocchezza di Sofri è dunque palese. Parla di cose che non
conosce, per sentito dire. Come gli sciocchi, appunto. E che dire del titolo che il giornale ha dato all’intera paginata di Sofri?
“Cari pacifisti, sulla guerra vi sbagliate”. E su cosa dovrebbero i
pacifisti essere nel giusto o nel torto, se non sulla guerra? E se si
sbagliano sulla guerra e sulla pace, che è il loro pane quotidiano, cosa
resta loro se non il suicidio? Ma lasciamo perdere perché ci sarebbe da
morire dal ridere se dovessimo fare il fascio completo delle bugie e delle
sciocchezze e di tutti i loro autori. Proseguiamo nell’arduo percorso. Subito dopo la prima perla, Sofri salta il fosso e passa apertamente sul terreno della destra più sfegatata: come mai non manifestaste contro i taliban? Solita scemenza di quelli che non manifestano mai, della maggioranza silenziosa dei menefreghisti più incalliti, che pensano solo ai fatti loro. Ma anche un furbesco ammiccare all’accusa del tipo di quelle che piacciono tanto a “Betulla”: voi siete amici, complici dei terroristi. Siamo già alle soglie del maccartismo. Domanda, a lui e a Rampoldi: avete mai manifestato contro i taliban? Per quanto riguarda me, e molti altri pacifisti, la risposta è sì. Quando scrivemmo, ben prima della guerra afgana, che i taliban erano stati organizzati dai servizi segreti pakistani, che a loro volta agivano in combutta con la Unocal e la Delta Oil, compagnie petrolifere rispettivamente americana e saudita, che progettavano di far passare oleodotti e gasdotti dal Turkmenistan al Golfo Persico, via Afghanistan.
Di che si occupavano allora Sofri e Rampoldi? Non ricordo di avere letto
loro infuocati commenti contro i servizi segreti pakistani e americani. Ma
aggiungo un’altra domanda ai due sciocchezzatori: avete mai manifestato contro i mujaheddin? Sì, contro gli eroi democratici come Gulbuddin Hekhmatiar che eroicamente combatterono, con le armi e i dollari americani, per cacciare l’invasore sovietico? Questi li ricordo bene: gl’inni alla “resistenza popolare” afgana “contro il comunismo”. Salvo che poi, quando i sovietici se ne andarono, l’oblio più totale cadde sull’Afghanistan e nessuno si accorse (e naturalmente manifestò nelle piazze) del fatto che i mujaheddin si stavano scannando tra di loro, che ammazzavano i loro compatrioti come le mosche, che Kabul venne rasa al suolo dai cannoni delle diverse fazioni, che le donne che portavano la gonna sopra le caviglie venivano fucilate in piazza, eccetera, eccetera. Adesso Sofri ci parla del regime talibano come di una “tirannide oscena”, e accusa Strada di preferire i taliban a Karzai. Falsa, ovviamente l’accusa. Ma bugiarda l’argomentazione, perché Sofri salta a piè pari i misfatti dei mujaheddin, mettendo tutto in un sacco buio. Quando invece dovrebbe essere chiaro che i taliban arrivarono al potere, nel 1996, dopo quattro anni di scempi, i cui autori non furono i taliban, creati dagli americani, ma i mujaheddin (tra cui Osama bin Laden) alleati degli americani. Dov’erano Sofri e Rampoldi in
quel periodo? Di quali farfalle si occupavano? E sono a conoscenza del fatto che alcuni di quei massacratori (pre-taliban) sono adesso al governo con il democraticissimo Ahmid Karzai, ex dipendente della Unocal? Non parliamo del crociato Rampoldi, che si spinge ad accusare i pacifisti (Fini o Calderoli non saprebbero fare di meglio) di volere che i talibani si riprendano l’Afghanistan e che Al Qaeda “riassuma il controllo delle più grandi piantagioni di papavero da oppio del pianeta, ricavandone abbastanza per finanziare il terrorismo ovunque”. Untorello che non si accorge di scrivere quello che esattamente sta accadendo adesso, quando il governo Karzai sta in piedi fino a che farà comodo ai signori della guerra, controllori delle grandi piantagioni di papavero. E poiché dietro agli uni e all’altro sta
l’ISI pakistano, possiamo essere certi che una parte grande di quei denari
vada proprio a finanziare il terrorismo che gli Stati Uniti fingono di
combattere. Ma, vien da chiedersi, questo Rampoldi, che pare non sapere come
gira il mondo, ci fa o ci è? I pacifisti – per lo meno quelli che conosco
io, ma forse Rampoldi ne frequenta altri – non hanno alcun bisogno di
“volere a tutti i costi che la guerra americana si concluda con una
sconfitta”. Non siamo noi a determinare l’esito della guerra americana,
bastano gli americani stessi. Il nostro problema è che questi Stati Uniti,
armati fino ai denti e determinati a vincere, rischiano di finire male loro
stessi e, insieme, di far finire male tutti noi. Ecco la nostra
preoccupazione.
Altra costante di tutti questi ragionamenti (si fa per dire), che accomunano
Sofri e Rampoldi alla larga schiera di commentatori di destra e di centro, è
l’accusa ai pacifisti di essere degli inguaribili moralisti, capaci soltanto
di posizioni di principio, incapaci dunque di ogni realismo. Ma la cosa più
curiosa è che questi fustigatori del moralismo sono poi i moralisti a
oltranza, che leggono la politica mondiale come una successione di puri
principi, dove s’invoca (di nuovo Sofri) l’uso di una “forza legittima e
proporzionata e trasparente; il contrario della potenza tracotante e
smisurata e opaca della guerra”. Come se non sapessero, ad esempio, chi ha
armato l’UCK in Kosovo, preparando la guerra “umanitaria”; come non
sapessero in che modo è stata preparata la guerra irachena; come non
avessero mai sentito parlare dei dubbi, sempre più pesanti con il passare
del tempo, su quell’11 settembre 2001 (per meglio dire: sulla versione
ufficiale dell’evento tragico) che cambiò la storia del mondo e avviò la
guerra infinita contro il cosiddetto terrorismo internazionale. Chi è il
moralista ipocrita, qui? Chi ritiene, con ben fondati motivi, che ci
troviamo nel bel mezzo, come scrive inorridito Sofri, di “una guerra globale
asservita agli Stati Uniti”, oppure chi, anima bella, sembra ritenere che
gli Stati Uniti stanno guidando il mondo verso la democrazia e la giustizia
universale a colpi di cannone e di missile?
Ma Sofri, che predica realismo, pensa che viviamo nel mondo della “forza
legittima e proporzionata e trasparente”. Proprio mentre è in corso, in
Libano e in Palestina, sotto i nostri occhi, l’uso di una forza illegittima,
sproporzionata, menzognera. Mentre i forti, che ammazzano i deboli che
cercano di difendersi, vengono assolti per legittima difesa e, al massimo,
si fa loro presente, con timidezza, che forse sarebbe utile che reagissero
con meno violenza, ammazzando un po’ meno civili innocenti, bambini, vecchi
e donne.
Ci vuole davvero una bella faccia tosta per fare prediche ai pacifisti in
una situazione come questa. Solo Magdi Allam potrebbe fare di peggio.
Nessuno o pochi, tra i pacifisti di mia conoscenza, dice o scrive che la
Kabul di oggi è “peggio” di quella dei taliban. Ma è qui il trucco: nel
proporre questo confronto. Siete voi che affermate che la Kabul di oggi “è
meglio” di quella dei taliban. E qui vi sbagliate, o mentite, o, peggio
ancora, vi arrogate il diritto di decidere prima e meglio degli afgani. Vi
ricordo che un anno fa l’Afghanistan era dato per pacificato e le elezioni
farsa che vi si tennero erano presentate come un grande passo avanti verso
la democrazia. Oggi nemmeno voi riuscireste a fare un’affermazione del
genere. Perché anche voi sapete che le cose stanno andando male, molto male,
per gli occupanti. Dunque abbiate la prudenza di aspettare a formulare
giudizi. Poi si vedrà qual è l’Afghanistan “più fasullo”: quello di Gino
Strada o quello di Guido Rampoldi. Potreste trovarvi presto nella condizone
di Fassino, che esaltò la grande vittoria democratica delle elezioni
irachene, con “oltre otto milioni e mezzo di votanti” (e ancora adesso c’è
da chiedersi chi gli diede quella cifra). Con il solo, piccolo problema che
ora l’Irak è in preda alla guerra civile e che, nel solo mese di giugno di
quest’anno (cifre riferite da Le Figaro) si sono verificati oltre 1200
attacchi militari, mentre i media italiani, tra cui quello per cui voi
scrivete, continuano a raccontarci solo la favole di Al Qaeda e dei suoi
kamikaze.
Del governo e della sua sopravvivenza non voglio neppure parlare. Se non per
ricordare a Sofri e a Rampoldi che il risultato elettorale dice una cosa
inequivocabile: la vittoria contro Berlusconi è il frutto di una battaglia
comune, alla quale hanno preso parte tutti, inclusi naturalmente i
pacifisti. I numeri, invero risicati, dicono che ogni voto è stato utile
anzi necessario. E, quindi, la responsabilità della tenuta del governo
grava in misura eguale su tutte le sue componenti. Non c’è qualcuno “più
responsabile” e qualcuno “meno responsabile” . Tanto meno la responsabilità
può essere assegnata in modo inversamente proporzionale alla quantità di
deputati, per cui coloro che sono in minoranza dentro la maggioranza
dovrebbero cedere e accettare le valutazioni della maggioranza nella
maggioranza. E chi ha mai stabilito questa regola?
E in base a quale criterio, imperante un sistema maggioritario demenziale
che ha chiuso la bocca agli elettori, la minoranza pacifista (che, appunto
stando ai recentissimi sondaggi d’opinione, è larga maggioranza nel paese),
contraria al rifinanziamento della missione afgana, dovrebbe cedere, mentre
gli altri, impegnati esclusivamente a garantirsi la benevola approvazione di
Washington, non cercano neppure la strada di un compromesso?
Infine una piccola e banale considerazione. Il voto della destra, identico a
quello del centro sinistra alla Camera dei Deputati, dice più e meglio di
ogni altra considerazione che sul tema della guerra e della pace questo
governo di centro sinistra ha mantenuto una continuità con quello di centro
destra. So bene che, anche quando Berlusconi era al governo, e anche prima
che vi arrivasse, spesso e volentieri, su queste questioni, i leader del
centro sinistra adottarono una politica bipartisan, appoggiando, quando non
promuovendo, opzioni belliche. Male allora, male adesso, quando la destra
vota con il centro sinistra. Male per tutti, cari Sofri e Rampoldi. Male
anche per voi, che siete così impegnati a giustificare le azioni del potere.
Viene da chiedersi: ma pensate davvero che ve ne verrà gloria e merito?
Appello manifestazione
NO ALL’AGGRESSIONE MILITARE ISRAELIANA CONTRO I POPOLI
PALESTINESE E LIBANESE
NO AL RIFINANZIAMENTO DELLA MISSIONE MILITARE ITALIANA IN
AFGHANISTAN
A FIANCO DELLA RESISTENZA DEI POPOLI DEL MEDIO ORIENTE
La mozione presentata e letta all’assemblea degli autoconvocati del
15 luglio scorso a Roma, in cui si chiede l’abrogazione dell’accordo
di cooperazione militare tra Italia ed Israele e l’adozione di
sanzioni diplomatiche e commerciali verso Israele ha lanciato un
appello alla mobilitazione per il 27 luglio. Di fronte
all’escalation israeliana in Medio Oriente il documento sta
raccogliendo adesioni in tutta Italia.
Sentiamo la necessità di una risposta forte e immediata all’ennesima
aggressione israeliana e in solidarietà ai popoli palestinese e
libanese e alla loro resistenza all’occupazione militare il cui
carattere criminale è sempre più evidente: il 90% dei morti
provocati dai bombardamenti israeliani sono civili, donne, bambini.
GIOVEDI’ 27 LUGLIO
CORTEO A ROMA
ore 17,30 P.zza Della Repubblica
ADESIONI AGGIORNATE AL 23 LUGLIO
Forum Palestina, Comitato con la Palestina nel cuore,
Movimento per il Partito Comunista dei Lavoratori, Comitato
“Per non dimenticare Sabra e Chatila”, Amici della Mezzaluna
Rossa Palestinese in Italia, Unione Democratica Arabo –
Palestinese (UDAP Nazionale), Associazione di Solidarietà con
Cuba “La Villetta”, Rete dei Comunisti, International
Solidarity Movement (ISM Italia), Comitato di Solidarietà con
l’Intifada, Comunità Libanese di Roma, Cub-Lazio, Red Link, il
Comitato per il ritiro delle truppe, CPA Firenze Sud, Circolo
Arci “Agorà” Pisa, Associazione Giovani Palestinesi “Wael
Zuaiter”, Comunità Palestinesi in Italia, Coordinamento
Cittadino PdCI Bologna, Campo Antimperialista, Comitati Iraq
Libero , circolo politico-culturale “R/anus, Mimmo
Beneventano” di San Giuseppe Vesuviano, Social Forum Cecina
(Li), gruppo khalas – Napoli
Proponiamo ai movimenti, alle forze politiche e sindacali, ai
comitati ed alle associazioni un’assemblea nazionale da tenersi
nella seconda metà di settembre per organizzare insieme una grande
manifestazione nazionale di solidarietà con i popoli palestinese,
libanese, iracheno e con tutti i paesi del Medio Oriente minacciati
dal colonialismo e dal militarismo israeliano e dai suoi protettori
statunitensi ed europei.
Testo appello amnistia
MNISTIA E INDULTO SUBITO!
APPELLO
I procedimenti giudiziari che hanno finora raggiunto gli
attivisti dell’ultima ondata di movimentoche ha attraversato
questo paese superano ormai quota 11.000. Le vaste proporzioni
della rappresaglia giudiziaria stanno lì a dimostrare che
l’insorgenza di bisogni e forme di vita differenti degli
ultimi anni ha coinvolto non soltanto i settori dell’attivismo
politico più radicale, ma parti intere di società:
manifestanti delle mobilitazioni noglobal di Napoli e Genova,
o di quelle antifasciste di Roma e Milano, lavoratori e
sindacalisti degli stabilimenti Fiat, del trasporto urbano e
degli aereoporti, precari, studenti, disoccupati. Persone che
hanno bloccato le ferrovie contro la guerra, o le autostrade
per difendere i propri territori a Scanzano, ad Acerra o in
Val di Susa, senzatetto che hanno occupato le case e si sono
mobilitati contro la svendita dei patrimoni pubblici e le
speculazioni immobiliari, attivisti antirazzisti che hanno
manifestato contro i Cpt, disoccupati e precari che hanno
organizzato azioni contro l’esclusione, il carovita, il lavoro
nero o interinale…
La scelta della “linea dura” contro il movimento si è
accompagnata, negli ultimi anni, a una generale riduzione dei
livelli delle garanzie e di tutela dei diritti di
cittadinanza: rilancio dell’opera di contrasto alle libertà di
movimento delle persone, ripresa degli indirizzi punitivi e
proibizionisti sulle droghe, riemersione di orientamenti
internanti nel trattamento del disagio mentale, campagne
allarmistiche sulla insicurezza urbana, sulla
microcriminalità, sull’emergenza terrorismo, in poche parole
piena legittimazione della guerra e della repressione come
principali strumenti di risoluzione dei conflitti.
Sono 62.000 le persone detenute nelle carceri italiane; in 40.000 eseguono
condanne penali fuori dalle mura, con le misure alternative alla pena, il
quadruplo rispetto al 1990. Al sistema penitenziario italiano, ma sarebbe
il caso di dire al sistema politico italiano, non serve nessun
provvedimento minimalista come un ennesimo indultino, ma un provvedimento
largo di indulto e amnistia che sia il segnale chiaro di un’inversione di
rotta.
Se le lotte sociali hanno sempre marciato su un crinale
sottile che anticipa legalità future impattando quelle
presenti, storicamente l’amnistia è stata uno strumento di
governo del conflitto, un mezzo per sanare gli attriti tra
costituzione legale e costituzione materiale, tra le fissità e
i ritardi della prima, e l’instabilità e il movimento della
seconda. Le amnistie sanano la forbice tra conservazione e
cambiamento. Esse rappresentano dei passaggi decisivi nel
processo d’aggiornamento della giuridicità. E’ stato così per
oltre un secolo, ma in Italia non accade da più di un
trentennio. Le ultime amnistie politiche risalgono al 1968 e
al 1970, dopo più nulla perché in quel decennio hanno prevalso
scelte favorevoli all’autonomia del politico contro le
insorgenze sociali, col risultato di dare vita ad un divorzio
crescente tra sinistra istituzionale e movimenti, tra
governanti e governati.
E’ venuto il momento di chiudere questa lunga e disastrosa
parentesi riportando il baricentro della politica dal penale
al sociale, e mobilitarsi per:
– l’amnistia e l’indulto per i reati politici e sociali sanzionati negli
ultimi trent’anni;
– un provvedimento di clemenza che dimezzi la popolazione carceraria,
abolendo leggi vessatorie e classiste come la Cirielli e
la Fini sulle droghe, la Bossi-Fini sull’immigrazione e le politiche di
differenziazione carceraria a partire dal 4bis e il 41bis
o.p. e rilanci una nuova politica estensiva e non premiale dei benefici
penitenziari oltre a varare un nuovo codice penale
caratterizzato da un sostanziale abbassamento dei tetti di pena e
dall’abolizione dell’ergastolo;
– l’abrogazione della legislazione d’emergenza nella quale si annidano le
tipologie di reato insidiose, oggi impiegate per colpire
l’azione dei movimenti;
– il ripristino del quorun a maggioranza semplice, come indicava in
origine l’art. 79 della Costituzione;
– la chiusura dei Centri di permanenza temporanea per gli immigrati.
Comitato per la costituzione di una RETE PER L’AMNISTIA
prime adesioni:
Alex Zanotelli (Napoli)
Beppe Battaglia – Federazione città sociale (Napoli)
Sergio Piro – Forum Salute Mentale di Napoli
Franco Piperno – Docente UniCal (Cosenza)
Francesco Caruso – Deputato
Don Andrea Gallo – Comunità San Benedetto al Porto (Genova)
Don Vitaliano Della Sala (Avellino)
Dario Stefano Dell’Aquila – Antigone Napoli
Aboubakar Soumahoro – Comitato Immigrati Napoli
Samuele Ciambriello – Associazione Città Invisibile (Napoli)
Stefano Vecchio – Dipartimento Farmacodipendenze Asl Na 1
Salvatore Esposito – Capo Area Politiche Sociali Regione Campania
Nicola Balzano – Cnca Regione Campania
Sandra Berardi, Ferdinando Gentile – Associazione Yairaiha Onlus (Cosenza)
Christian Tucci, Felice Adriani – Associazione Culturale Multietnica “La
Kasbah” (Cosenza)
Francesco Cirillo, Lidia Azzarita – imputati a Cosenza per la rete del sud
ribelle
Rosella Cerra e Francesco Svelo dello Sportello di assistenza legale ai
migranti Dino Frisullo (Atta Calabria)
Associazione SocioCulturale “Collettivo 26 luglio” Cassano Ionio (Cosenza)
Erminia Rizzi (Bari)
Riccardo Brun – scrittore (Napoli)
Massimo Ricciuti – scrittore (Napoli)
……
per aderire scrivete a: [email protected], 3496130751