Oltre 20 morti in Tunisia, non meno quelli in Algeria, scontri e arresti in moltissime città nordafricane. Il Maghreb sembra essersi infiammato e secondo molti analisti il peggio deve ancora arrivare. All’origine di queste tensioni c’è una crisi economica le cui conseguenze sono sempre più pesanti per le popolazioni civili di quei Paesi, e regimi che in questi anni hanno soffocato ogni opposizione riducendo progressivamente le libertà ad iniziare dai diritti civili. Regimi, è bene non dimenticarlo mai, che da anni sono “fra i migliori amici” dell’Italia e dell’Occidente.
Gli orologi di Tunisia e Algeria sono così tornati indietro di molti anni, alla metà degli anni Ottanta quando Algeri e Tunisi venivano attraversati da una analoga “rivolta del pane”, anche allora soffocata nel sangue dai governi al potere. Da quegli anni però molta acqua è passata sotto i ponti e soprattutto quei Paesi hanno deciso di abbandonare ogni ipotesi, seppur timida, di autodeterminazione, scommettendo tutto su di un ruolo succube verso l’Unione europea e soprattutto verso l’Euro. Nessuna ambizione di ricavarsi un ruolo autonomo. E’ a questo proposito emblematico il rapporto fra la Tunisia e Bruxelles: dal 1995, nel quadro della cooperazione regionale e del Processo di Barcellona, la Tunisia ha siglato con l’Unione Europea, un accordo di associazione che consente agevolazioni e istituisce una zona di libero scambio. Nel 2004, ha inoltre siglato un Piano di Azione PEV, in cui si è detta pronta a cooperare con l’Ue sulla base di valori comuni, rispetto dei diritti umani e democrazia. Tunisi acquisirebbe cioè lo status di partner avanzato dell’Unione impegnandosi però a rispettare i diritti umani e le libertà fondamentali in conformità con la Carta delle Nazioni Unite e la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Buoni propositi ma realizzati, Parole al vento. Buoni propositi mai realizzati, anzi il governo tunisino ha continuato a violare sistematicamente la maggior parte dei diritti umani e dei principi democratici>.
A questo poi, dopo l’11 settembre 2001, si è aggiunta la paura dell’islam politico che ha subito in modi diversi – militare in Algeria poliziesca in Tunisia – una repressione pari solo a quella riservata alle opposizioni progressiste e comuniste. E’ oggi inevitabile quindi che la crisi pesantissima che strangola il Vecchio continente si rifletta pesantemente in quella regione, e non è un caso che al momento l’unico Paese dell’area esente dalla violenza sia il Marocco, dove i governi di centrosinistra che si sono succeduti in questi anni hanno messo in atto piccole ma significative aperture in campo economico e dei diritti.
Il Maghreb è una bomba ad orologeria le cui ripercussioni potrebbero investire anche le nostre città: le analogie fra le modalità degli scontri in Algeria di questi giorni e quelli che negli anni passati hanno incendiato le periferie francesi ne sono un segnale preciso. Un avvertimento per tutti noi, soprattutto per quello che riguarda le politiche verso l’immigrazione, che qualcuno sciaguratamente vorrebbe penalizzanti e repressive. In tempo di crisi il problema è meno che mai penalizzare quei giovani che cercano fuori dai loro paesi quelle speranze di vita che l’economia mondiale gli nega.
Tornando a quello che sta accadendo in Tunisia, forse al momento l’anello più debole del nord Africa, gli intrecci fra crisi economica e crisi politica sono evidentissimi. Il Parlamento tunisino qualche mese fa aveva approvato l’emendamento dell’articolo 61 bis del Codice penale inserendo una norma che recitava così . L’ennesimo attacco a quello che restava delle libertà civili postcoloniali, del tempo di Bourghiba per capirsi, un emendamento che aveva due obiettivi: reprimere ancora di più le figure indipendenti, quelle donne e quegli uomini che ad oggi sono già visti come “pecore nere”, perché si oppongono ad un regime contro il quale non è possibile alcun dissenso e alcuna critica; ridurre definitivamente al silenzio tutte le critiche che si levano contro la gestione politica catastrofica del governo, ridurre al silenzio le associazioni che lottano per i diritti umani. Quindi criminalizzare ogni attività di sensibilizzazione condotta dai difensori dei diritti umani nei rapporti tra Ue e Tunisia.
Il rapporto redatto da Remdh, la rete mediterranea per i diritti umani, infatti mostra un’altra faccia della Tunisia, lontana dai tavoli dei negoziati Ue e dai favolosi panorami turistici: un paese dove le autorità hanno commesso sistematiche violazioni delle libertà e dei diritti, ignorando ogni principio di democrazia. Dall’8 al 10 novembre scorso una delegazione di organizzazioni tunisine indipendenti per la difesa dei diritti umani è stata in Italia, per incontrare associazioni, parlamentari italiani e stampa e raccontare “l’altra Tunisia”. Il tutto però nel più assoluto silenzio e disinteresse delle forze governative e di opposizione parlamentare.