Le Pmi non piangono più

Non c’è convegno dove non si parli di loro. Nelle relazioni della Confindustria non mancano mai. E quasi sempre i diretti interessati si lamentano della crisi economica. Eppure non sembra che per loro le cose vadano così male come si legge nella pubblicistica quotidiana. Anzi, per le piccole e medie imprese il primo semestre 2006 è addirittura positivo. Questa l’indicazione che giunge dalla sesta indagine «Laboratorio Pmi», condotta da Confapi e Unicredit su un campione di 3.000 imprese piccole e medie di tutta Italia.
Secondo lo studio, presentato ieri nel corso di una tavola rotonda al Cnel, le indicazioni delle aziende in termini di produzione, ordini e fatturato, salgono ai massimi da quando questa indagine viene condotta, in quasi tutti i settori e le aree geografiche. Per quanto riguarda il livello del fatturato, ad esempio, i risultati sono stati particolarmente incoraggianti: da un 12,5% del secondo semestre 2005 si è infatti passati al 26,3% del primo semestre 2006. Anche il saldo degli ordini passa da 11,8% a 27,2%. La maggiore accelerazione dell’attività e della domanda interna ed estera si è registrata soprattutto nei settori meccanico e chimico. E proprio l’evidenza che i settori che più nettamente hanno migliorato le proprie condizioni producono i cosiddetti beni capitali o intermedi, indica l’ampia diffusione di questo miglioramento e sembrerebbe deporre in favore della sua possibile persistenza. «Questi settori infatti – si legge nell’indagine – si confrontano sia con la domanda domestica proveniente da altri settori più a valle, sia con la domanda estera, e sono partecipi della dinamica positiva che caratterizza la fase ciclica in tutta Europa». Restano tuttavia alcune note di cautela. E innanzitutto lo studio indica una certa debolezza dei risultati in termini di utile lordo e in secondo luogo evidenzia una «timidezza delle imprese in termini di intenzioni di investimento».
In aggiunta vi sono tracce di difficoltà di accesso al credito che probabilmente causano in qualche caso vincoli di natura finanziaria alla crescita degli investimenti. Viene inoltre confermata l’esistenza di un premio in termini di performance per le imprese dotate di una struttura finanziaria equilibrata. Evidenze che indicano l’opportunità di un attento lavoro del sistema finanziario verso le Pmi. «Ciò che serve oggi di più alle Pmi italiane – osserva il presidente di Confapi Paolo Galassi – è un’azione di forte sostegno alle politiche per lo sviluppo. Anche perchè l’erosione degli utili comporta il rischio che le aziende non abbiano più risorse per sostenere l’innovazione, proprio mentre la ripresa economica le chiama ad una nuova sfida di produttività e competitività».
Le Pmi, tuttavia, non sono soltanto l’ossatura dell’economia italiana ma anche delle economie dei paesi che sono entrati di recente nella Ue. Questo dato lo rivela invece, Europès 500, la classifica delle Pmi a più alto tasso di crescita nel Vecchio Continente, realizzata da «Entrepreneurs for growth», associazione indipendente che mira a promuovere l’imprenditorialità nella Ue, con il patrocinio di Kpmg e Microsoft. La ricerca rivela che le imprese appartenenti ai nuovi stati membri della Ue, spinte soprattutto dai processi di delocalizzazione e outsourcing, si sono mosse con una maggiore velocità rispetto al resto della Ue.
Sono stati infatti 46 le imprese entrate in classifica con tassi di crescita occupazionale, per le aziende dell’Europa centrale e orientale, attorno al 20% e più sviluppati rispetto a quelli degli altri Paesi europei. L’Italia – quarta dietro Germania (109), Regno Unito (72) e Francia (55) – piazza 44 aziende in graduatoria ma solo sette nei primi cento e nessuna nella top ten. Per incontrare la prima classificata occorre scalare fino alla 28esima posizione, occupata dal gruppo Ferretti.