Le pietre continuano a rotolare e colpiscono Bush

Iniziata a Boston il 21 agosto la tournée dei Rolling Stones. A settembre l’uscita del nuovo album “A bigger bang”, con gli attesi brani “Sweet neo-con” e “Dangerous Beauty”

«Ti definisci cristiano/ma io credo che tu sia un ipocrita… /…Dici di essere un patriota/ma io penso che tu sia un sacco di merda…/…Se avrai ragione/io mi mangerò il cappello… /.. Come fai a essere sempre dalla parte del torto/mio caro neo-con?». Con i loro volti non rifatti (di questi tempi per un gruppo di star è quasi rivoluzionario), pieni di rughe come vecchi pellerossa che portano i segni della vita, i Rolling Stones ancora una volta si stanno divertendo a prendere a calci in culo reazionari, imperialisti e conservatori. Le anticipazioni del testo del brano Sweet neo-con hanno fatto sobbalzare sulla sedia chi li considerava ormai un gruppo di vecchi dinosauri in disarmo. La linguaccia di Mick Jagger fa il resto: «Ma quale metafora? E’ un testo diretto e chiaro…». E se qualcuno la prende male, peggio per lui. Oltre alla canzone contro Bush e i neo-con, il prossimo album, in uscita tra un pugno di giorni, dovrebbe contenere anche Dangerous beauty, dedicata a Lynndie England, la soldatessa che teneva al guinzaglio gli internati ad Abu Graib. Insomma, il tempo passa ma i diabolici vecchietti sono ancora in grado di annusare l’aria e quando c’è da menar le mani e non si tirano indietro. L’ha capito, suo malgrado, anche Arnold Schwarzenegger che pochi giorni fa ha cercato di accattivarsi qualche simpatia assistendo al concerto degli Stones di Boston. Mick Jagger l’ha cercato con lo sguardo e ha annunciato al pubblico: «Gente, c’è qui Arnold, mentre arrivavo l’ho visto fuori dallo stadio che trafficava in magliette…». I fischi hanno cancellato per un momento la musica mentre qualcuno innalzava cartelli con robusti giochi di parole ispirati alle canzoni del gruppo («No Sympathy For Schwarzenegger» e via citando).
Le quattro pietre rotolanti, dunque, dopo l’appoggio dato tre anni fa all’Nrdc (National Resources Defence Council), l’ente che si batte contro il riscaldamento globale, tornano a menare fendenti contro i conservatori di ogni risma. Ne sa qualcosa anche Angela Merkel, la candidata premier della destra tedesca cui i Rolling Stones hanno fatto sapere di non aver autorizzato e di non apprezzare l’uso del loro brano Angie in campagna elettorale. In questi giorni qualcuno ha scritto che Mick Jagger e soci sono, in fondo, dei furbacchioni che possono permettersi di fare così perché ormai non hanno più nulla da perdere. Chi sostiene questa tesi dimentica che spesso le strade della band si sono incrociate con la politica, a partire da quel 9 ottobre 1964 quando un giovane Mick Jagger annunciò l’annullamento della tournée sudafricana dicendo: «Ci hanno detto di fottercene della politica, di tirare diritti per la nostra strada perché la musica è un linguaggio universale e non può essere al servizio di una bandiera. In questi giorni ci hanno tirato in tanti per la giacca… con un solo scopo: quello di convincerci a confermare la nostra tournée sudafricana. C’è chi ci ha proposto di farlo inserendo in scaletta una canzone per la fratellanza tra le razze. Noi vogliamo farvi sapere, invece, che non andremo in un paese che discrimina gli uomini sulla base del colore della pelle. Consideriamo l’apartheid una vergogna per tutto il genere umano al quale, fino a prova contraria, appartengono anche i musicisti». Due anni dopo in un concerto negli Stati Uniti, a Syracuse, lo stesso Jagger trascinava sul palco una bandiera a stelle e strisce, calpestandola più volte tra gli applausi di migliaia di fans in delirio. Erano gli anni della guerra in Vietnam e con la bandiera non si scherzava. In meno di ventiquattro ore veniva chiesta l’immediata espulsione dei «cinque inglesi promotori di teppismo». Loro fecero spallucce e a chi ricordava che negli Stati Uniti «…la bandiera è quasi una religione», Keith Richards rispose: «La nostra religione è la distruzione di tutte le religioni e di tutti i pregiudizi. Noi vogliamo la liberazione dell’uomo. Quando sentiamo i ragazzi gridare con noi, ci rendiamo conto di svolgere un vero e proprio servizio sociale…».

Oggi come ieri in questa dissacrante capacità eversiva c’è forse il segreto della longevità dei Rolling Stones, una band che Tom Wolfe definiva «spauracchio della borghesia» perché capace di creare un legame istintivo con i «bassifondi della vita, un cono d’ombra che per anni è stato il regno degli outsider dell’arte e della fotografia, abitato da poveri ragazzi» che nella musica del gruppo trovano la scintilla necessaria a incendiare la loro rabbia.