«Speriamo e preghiamo che il Consiglio di Sicurezza riesca a raggiungere un accordo». Ad auspicarlo non è il Papa, ma le Nazioni Unite stesse, che se non riescono a chiedere con una voce sola l’immediato cessate il fuoco sono però riuscite a dire chiaramente una cosa: la situazione umanitaria è «una vera disgrazia». Lo ha dichiarato ieri a Ginevra il Sottosegretario Generale per gli Affari Umanitari dell’Onu, Jan Egeland, che in una conferenza stampa ha anche chiesto a Israele e Hezbollah una «sospensione delle ostilità» che permetterebbe alle agenzie umanitarie di raggiungere le zone «sotto assedio» e distribuire aiuti ai civili che ne hanno bisogno.
Durante le cinque settimane di bombardamenti e in particolare dopo gli avvertimenti israeliani che saranno colpiti tutti i veicoli in movimento a sud del fiume Litani, cresce l’allarme per i 20.000 libanesi bloccati a sud di Tiro e le altre 100.000 persone che sono rimaste isolate nel Libano meridionale. Qui, nonostante il bombardamento, lunedì 7 agosto, dell’ultimo ponte provvisorio costruito sul fiume Litani dall’Unifil ( la forza ONU ad interim in Libano) e nonostante entrambe le sponde del fiume siano ormai diventate inaccessibili, Israele continua a ignorare il monito delle agenzie internazionali e le richieste del coordinatore delle Nazioni Unite per garantire la sicurezza di un corridoio umanitario che permetta di portare i soccorsi, attualmente congelati, ai civili.
Nel frattempo sono oltre 700.000 gli sfollati all’interno del Libano, 500.000 dei quali si aggirano per la città – da giorni sotto le bombe – cercando riparo nei quartieri di Beirut, mentre intorno ai 180.000 profughi sono già arrivati in Siria, ospitati nelle strutture pubbliche o nelle famiglie siriane. Particolarmente drammatica appare la situazione degli ospedali in cui mancano generi di prima necessità, cibo e medicinali e dove a causa dell’isolamento delle infrastrutture le agenzie umanitarie devono trasportare a mano i soccorsi. Intanto l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha avvertito che il mancato rifornimento di carburante ha già costretto a chiudere tre ospedali nel Libano meridionale e, se continuerà, minaccia di bloccare le attività di più della metà degli ospedali in Libano. «Stiamo cercando di ridurre il numero dei feriti (più di 3000, ndr) che diventano morti» ha dichiarato Rowan Gillies, presidente di Medici Senza Frontiere, l’ong internazionale che ieri attendeva ancora l’autorizzazione dell’esercito israeliano per spedire un convoglio di dieci camion nella città di Nabatyeh e che ha deciso di sfidare il divieto israeliano di viaggiare.
Chi invece non sembra avere alcuna intenzione di «disubbidire» è il primo ministro italiano Romano Prodi, il quale, in un colloquio telefonico con il suo omologo libanese Fouad Siniora, ha annunciato che la nave della Marina militare «San Marco», carica di materiale sanitario, razioni alimentari, gruppi elettrogeni, tende e autoambulanze, è pronta a salpare dalle coste dell’Italia «non appena le condizioni lo permetteranno». Negli ulteriori colloqui con il presidente egiziano Hosni Mubarak, il Re di Giordania Abdallah II e con il segretario generale della Lega Araba Amr Mussa, Prodi ha anche espresso la «profonda preoccupazione» di Roma per l’evolversi della crisi e la necessità di riportare al centro dell’attenzione la questione palestinese. Al consenso unanime sulle condizioni drammatiche della popolazione civile libanese si è aggiunta anche la dichiarazione del commissario europeo agli Aiuti umanitari Louis Michel il quale ha sollecitato le parti in conflitto in Libano a rispettare le norme del diritto umanitario e «mettere fine alle ostilità» per poter distribuire gli aiuti.