Non è che Bush non controlla l’Iraq. Non controlla quello che lui stesso ha definito «un terzo del paese», vale a dire gli stati del sud devastati dall’uragano Katrina. Dove è, semplicemente, l’inferno. I morti sarebbero davvero «migliaia» ripetono il sindaco e i senatori dello stato. Ma non era un disastro annunciato da mesi? E, da questo punto di vista, è davvero peggio dell’11 settembre. E poi sembra di assistere agli stessi silenzi e omertà di Sarno o di un doloroso terremoto nostrano. Fanno le guerre preventive, ma non sono in grado di prevenire un uragano su cui da mesi le tv trasmettevano speciali. A New Orleans gli aiuti sono stati sospesi perché la situazione è «troppo pericolosa», sono esplose le violenze dei superstiti che vogliono essere messi in salvo subito o che sono in preda al panico mentre sono costretti alla fuga. Come non cessano gli assalti degli sciacalli alle merci rimaste sommerse e inutilmente esposte, con scontri con la guardia nazionale e la polizia. Nelle città allagate, alla fame e alla sete, si spara. Bush promette per loro «tolleranza zero». E i servizi e l’assistenza? Elemosine, raccolta fondi in tv e «concerti».
Si capisce che mutua tutto dal suo comportamento «iracheno», dimenticando che anche quello però è un bel disastro. Non è che è un fallimento la costituzione irachena. Forse bisognerebbe riscrivere anche quella degli Stati uniti dove una società civile tollera che un presidente guardi dall’alto degli oblò dell’Air Force One gli stati allagati, mentre sotto chiedono inutilmente aiuto i governati degli stati più poveri della nazione più ricca e prepotente del mondo. Un sorvolo dopo una settimana di vacanza mentre l’uragano invadeva l’America.
Senza prendere atto, nemmeno di fronte alla strage, del fatto che la sua miopia ha aiutato il surriscaldamento globale e l’aumento – dimostrato – dell’intensità degli uragani, oggi il presidente americano sarà, finalmente, nelle zone alluvionate e a New Orleans. E si compiacerà, come ha già annunciato con la stessa ritualità che usa per la guerra, che «da questo disastro l’America sarà più forte». Mentre è la catastrofe della sua leadership.