Lo spirito del Novantotto si è materializzato alle 16 di ieri in Transatlantico. Passa Franco Giordano: «Allora, segretario, è “svolta o rottura”?». Ci pensa solamente un attimo: «Sì, la situazione è un po’ questa». “Svolta o rottura”. Era lo slogan che Fausto Bertinotti brandiva alla vigilia della rottura col Prodi 1, la svolta non ci fu e la rottura fu inevitabile.
E nessuno mette la mano sul fuoco che oggi come allora non tocchi proprio a Bertinotti spegnere la luce. La sua insofferenza è quasi al top, le esternazioni istituzionali malcelano questo stato d’animo, quando per esempio addita il rischio che «si passi da una democrazia parlamentare a una repubblica parlamentare che per un lato almeno subisce una sospensione di sovranità, sostituita da un aspetto neocorporativo»: un linguaggio forbito che trasuda dissenso.
Rifondazione non torna sui suoi passi e ribadisce la richiesta di una verifica a gennaio per «ridiscutere tutto». Si tratterebbe di «applicare finalmente il programma» e pazienza se Dini non ci sta: magari fosse lui a far precipitare la situazione togliendo l’antipatico cerino dalle dita di Giordano.
La road map della battaglia dei comunisti è comunque tracciata: dopo il rospo del welfare, ci saranno, in sequenza, (e al senato!) il pacchetto sicurezza, di nuovo il welfare, la Finanziaria. E poi il Prc vuole che a gennaio riesploda il dibattito sulla base di Vicenza (il 15 dicembre è prevista una grossa manifestazione), mentre successivamente arriverà in parlamento il decreto di rifinanziamento della missione afgana, il più classico terreno di scontro fra l’anima radicale e quella riformista del centrosinistra sul quale è difficile per non dire impossibile tenere a bada non solo Turigliatto e Rossi, ma anche Giannini, Menapace, Haidi Giuliani eccetera eccetera. Ad oggi, sull’Afghanistan, il centrosinistra non è autosufficiente. Ed è da aspettarsi che la destra non farà regali, anche se resta da capire come si evolverà la situazione fra Berlusconi, Fini e Casini, dato che ogni giorno le loro posizioni cambiano.
Romano Prodi ovviamente conta molto esattamente sulla confusione che regna dalle parti dell’ (ex) Cdl. E su un altro dato: «Non succederà niente – spiega il sottosegretario agli esteri Ugo Intini – per la semplice ragione che non ci sono alternative al governo Prodi». Che è la convinzione del premier. Il quale, secondo chi gli ha parlato ieri mattina, sarebbe però molto contrariato nei confronti di Veltroni «che parla tutti i giorni con Fini e Berlusconi» dando l’impressione di disinteressarsi dei problemi politici della coalizione.
Detto tutto ciò, il problema dell’insofferenza di Rifondazione rimane. «Tocca a Prodi risolvere il problema», è stato il discorso che Giordano ha fatto ieri alla segreteria del suo partito, dove si è registrata una grande preoccupazione per l’immagine di divisione che i gruppi parlamentari stanno dando. «Ma io ho l’impressione che il patto Giordano-Ferrero-Migliore regga – dice Salvatore Cannavò, il trotzkista ormai sulla soglia del partito – anche se certo il malessere c’è e anche chi lo cavalca». Il quotidiano del partito Liberazione registra (e anche qualcosa di più) questo malessere. E il rapporto col segretario non è facilissimo. Ieri a una cronista che lo informava che il quotidiano del Prc avrebbe pubblicato integralmente il suo discorso alla camera, Giordano ha risposto: «Ma non è che sopra mettete un articolo di Cremaschi?».