Le conclusioni di Paolo Ferrero

La discussione che facciamo oggi avviene a partire dal risultato elettorale; un risultato negativo perché non abbiamo conseguito l’obiettivo che ci eravamo dati e che i nostri elettori si aspettavano. Per questo come segretario e segreteria rimettiamo il mandato. Oggi facciamo una prima analisi del voto e proporremo un indirizzo politico su cui muoverci. Le determinazioni che verranno assunte dal Cpn devono però essere alla base di una discussione di tutto il partito, da organizzare con attivi in tutte le federazioni. Bisogna discutere a fondo per ripartire con il piede giusto. Per quanto riguarda l’analisi, voglio partire dal quadro europeo che ci dice cose molto nette. Le elezioni europee registrano una vittoria delle destre e un relativo sfondamento delle destre estreme, in più di un paese. Parallelamente si registra un crollo delle socialdemocrazie e una tenuta delle forze della sinistra. Il tutto in un generale calo di partecipazione al voto. Questa fotografia ci dice che le politiche neoliberiste fatte assieme a livello europeo dalle socialdemocrazie, dai popolari e dai liberali hanno determinato il fallimento dell’ipotesi strategica delle socialdemocrazie. Le politiche liberiste fatte dalla “grande coalizione” non hanno solo generato la crisi economica ma anche la crisi della politica: il dato dell’astensionismo crescente ci parla della separatezza dalla politica. E’ passata l’idea che la politica non possa essere lo strumento attraverso cui si risolvono i tuoi problemi. Parallelamente assistiamo ad una crescita delle destre “antisistema” che segnala come la guerra tra poveri, in assenza di un sano conflitto di classe, si stia estendendo e trovi le destre estreme come referente politico. Credo che questo debba portarci a una valutazione politica: la crisi ad oggi viene capitalizzata da destra e i risultati delle elezioni tendono ad amplificare questo elemento. Viste le forze che hanno vinto le elezioni è difficile pensare a una modifica di indirizzo politico da parte delle istituzioni europee perché han vinto, per l’appunto, xenofobia e destre liberiste. Di fronte alla crisi c’è una reazione simile a quella che si ebbe dopo il ‘29, e cioè che il continente europeo è quello che ha la reazione peggiore, più chiusa e reazionaria a fronte di alcuni spazi che si aprono negli Usa con la presidenza di Obama. Il secondo elemento riguarda l’Italia. Si registra una battuta di arresto del disegno berlusconiano di sfondamento costituzionale. Berlusconi ha puntato ad avere un plebiscito e questo non si è verificato, anzi si registra una riduzione dei voti sul Pdl significativa. Sarebbe però sbagliato affermare che questo significa una sconfitta delle destre; le destre non escono sconfitte dal voto; La Lega Nord recupera una parte dei voti che perde il centro destra. C’è quindi una battuta di arresto del disegno berlusconiano, non una sconfitta del governo che vede invece modificarsi gli equilibri al suo interno. Sul versante delle opposizioni c’è una conferma della tenuta dell’Udc come polo politico autonomo dai due poli maggiori, c’è un arretramento pesante del Pd che viene mascherato unicamente dal fatto che non avendo Berlusconi raggiunto i suoi obiettivi tutto si concentra su questo e non sul fatto che il Pd abbia avuto una frana di milioni di voti. C’è un aumento dell’Idv e dei voti a sinistra anche se dal punto di vista politico è evidente che l’Idv capitalizza
a pieno questo aumento di voti e rafforza la sua posizione di rendita costruita negli ultimi mesi, di essere l’unica opposizione visibile e fortemente anti-berlusconiana. Per quanto riguarda la sinistra, il fatto che non riusciamo ad eleggere deputati fa si che anche l’aumento dei consensi non produca un passo in avanti nella costruzione di una forte sinistra autonoma dal Pd e strategicamente alternativa. A livello italiano quindi subisce un colpo sia il progetto plebiscitario eversivo di Berlusconi sia il progetto del Pd che vuole il referendum per semplificare il panorama politico e arrivare a un bi-partitismo. I due partiti maggiori oggi sono complessivamente al 60%, dieci punti sotto alle elezioni di un anno fa. Se il progetto bi-partitico subisce un colpo così non è per il bi-polarismo. Eppure noi dobbiamo rilanciare con forza una campagna politica contro il bipolarismo. Da un lato il bipolarismo accentua la separatezza tra la società e la politica. Nello specifico italiano senza il bipolarismo secondo me non esisterebbe il berlusconismo e senza il bi-polarismo coatto Berlusconi non avrebbe la possibilità di governare con il 45% dei voti. Se noi avessimo un sistema proporzionale la configurazione del sistema politico non sarebbe questa. Dobbiamo riaffermare come la lotta al bi-polarismo sia un punto decisivo della lotta al berlusconismo. Per quanto ci riguarda, voglio sottolineare che siamo ancora interni alla sconfitta dell’anno scorso. L’analisi che abbiamo fatto sulla sconfitta dell’anno scorso non ci ha portato a dire che avevamo perso solo perche non c’era la falce martello. Abbiamo fatto risalire la sconfitta alla fallimentare esperienza di governo, che ha minato la credibilità della sinistra. Il risultato di oggi continua ad essere figlio di quella situazione. Inoltre abbiamo affrontato un congresso dai toni non facili, successivamente una scissione a tappe e siamo stati sottoposti ad un attacco proveniente da dentro Rc o dalle immediate vicinanze che ha teso a distruggere il partito. Questo attacco prosegue. Occorre però misurarsi con il dato qualitativo: Se noi andavamo oltre al 4% oggi non ci sarebbe più la discussione se la sinistra politica in questo paese esiste oppure no. Il fatto di non aver superato la soglia del 4% lascia aperta la battaglia per l’esistenza. Non l’abbiamo ancora vinta. Questo è il dato negativo delle elezioni. Io credo quindi che, dialetticamente, da un lato dobbiamo valorizzare positivamente il risultato che abbiamo preso e che registra una inversione di tendenza rispetto al 2008. Dai voti e dalle relazioni di massa che abbiamo costruito dobbiamo ripartire. Parallelamente il mancato raggiungimento del quorum ci ricaccia indietro dal punto di vista della credibilità della nostra impresa politica e con questo dobbiamo fare i conti. Detto questo dobbiamo analizzare meglio il risultato per focalizzare i problemi. Abbiamo un risultato che tutto sommato al centro e al sud è buono. In linea con cosa si poteva. Il risultato peggiore è al nord. Siamo speculari alla Lega. Il processo di espansione della Lega dal nord-est verso il nord-ovest e il centro è simile alla nostra riduzione in quelle aree. Non sto affermando che c’è stato un passaggio di voti, intendo solo segnalare il processo politico in corso. Dentro la crisi si è mostrata più efficace la Lega della guerra tra i poveri che non la nostra proposta di ricostruzione del conflitto di classe scarsamente praticato. I posti dove scendiamo di più sono esattamente le aree che registrano con maggiore velocità l’incidenza della crisi. Non c’entra niente il dato oggettivo , c’entra la percezione del cambiamento. Al nord vi è una situazione di insicurezza dilagante e integrale che noi abbiamo descritto migliaia di volte ma che non siamo riusciti ad intercettare. Questa situazione ci chiede un salto di qualità. Se non costruiamo rapidamente un intervento teso a ricostruire un sano conflitto di classe a partire da chi sta pagando la crisi, la crisi produrrà disgregazione sociale e guerra dei poveri che macinano a destra. In secondo luogo dobbiamo avere la consapevolezza che l’elemento simbolico della falce e il martello non è sufficiente e noi, lo dico io per primo, abbiamo coniugato la questione del simbolo più all’appartenenza ad una storia che non nella capacità di espressione dell’alternatività. Quindi la capacità innovativa di rivoluzione e cambiamento della nostra falce e martello non è risultata maggiore di quello che ha significato candidare De Magistris per Di Pietro. Siamo stati visti più omogenei noi che non altre forze politiche che sono decisamente più moderate di noi in termini di contenuti. Dobbiamo riempire di contenuti e pratiche radicali opposizione il nostro essere comunisti. Ho citato due nostre lacune e se ne possono citare molte altre. Non vedo però un errore di impostazione politica. Mentre nel 2008 ero in grado di dire dove avevamo sbagliato e cosa andava fatto diversamente rispetto al governo, oggi non vedo altre strade percorribili; certo abbiamo fatto mille errori concreti, tra cui le liste, ma non vedo un altro indirizzo politico di fondo. La proposta che avanzo approfondisce e articola quindi la strada che abbiamo cominciato con il Congresso di Chianciano e che il risultato elettorale ci consegna come ancora insufficiente ma non come sbagliata. Quattro i punti su cui lavorare. Il primo è che dobbiamo fare un salto di qualità nel lavoro sulla crisi. Siamo in mezzo al guado. Ce lo siamo detti molte volte che questa crisi è costituente e cambia il volto dell’Italia. C’è una rivoluzione in corso in questo paese, in particolare in alcune aree. Io credo che noi l’abbiamo colto sul piano intellettuale ma non ne abbiamo tratto le conseguenze dal punto di vista dell’organizzazione del lavoro del partito. Se non usciamo da questo guado la crisi la capitalizzerà qualcun altro, soprattutto la destra e noi saremo sputati fuori dalla storia, non per la cattiveria di qualcun altro ma perche i comunisti non saranno stati in grado di incidere in una realtà in cui la crisi del capitale è sotto gli occhi di tutti. Bisogna mettere il partito dentro la costruzione del conflitto in modo molto più forte di quanto fatto sin’ora. Girando per la campagna elettorale ho registrato una situazione paradossale: c’è una domanda di direzione politica a cui non diamo risposta. Quando andiamo davanti a una fabbrica in crisi dove i lavoratori e le lavoratrici manifestano e tu gli proponi delle cose (vertenza con enti locali sulle tariffe, andiamo davanti alla casa del padrone, entriamo in rete con le altre fabbriche in sciopero, facciamo come i francesi) le persone dicono sì. La mia impressione è che Rc è in grado di fare questo lavoro qui in un posto su cento. Se fossimo in grado di farlo in almeno 30 su 100, secondo me saremmo in grado di rovesciare la situazione, perché c’è una domanda sociale vera. Io penso che se noi non facciamo questo il resto della discussione è inutile. Occorre rovesciare le priorità del nostro lavoro politico. Dobbiamo ristrutturare il lavoro politico dentro una crisi che proseguirà. C’è una domanda di direzione politica ma in politica i vuoti non restano tali: se non ci muoviamo noi questa domanda la coprirà la destra estrema. In politica i vuoti non esistono. Questo è il punto fondamentale su cui focalizzare il lavoro politico. Il secondo punto riguarda il partito. Per ragioni di forza maggiore, i soldi, per ragioni di funzionalità nell’organizzazione politica dobbiamo mettere mano all’organizzazione del partito. Nelle prossime settimane dovremmo farlo a livello centrale ma va fatto anche nei territori. L’organizzazione del partito va funzionalizzata all’intervento politico. Dobbiamo cercare di fare un salto di qualità interno. Dobbiamo superare la cristallizzazione delle correnti che oggi ci caratterizza e lavorare alla gestione unitaria. Perche se il nodo fondamentale è il lavoro politico del partito nella società esso va articolato su tutti i territori. Dobbiamo superare gli elementi di rigidità interna che abbiamo ereditato. Dobbiamo trovare un accordo sull’indirizzo politico e valorizzare tutte le risorse per perseguire quell’indirizzo politico. Le elezioni non ci hanno detto se ce la facciamo o no. Per farcela o ci mettiamo tutti assieme o le probabilità diminuiscono. Io considererei criminale non ricercare una gestione unitaria una volta dfinito l’indirizzo politico. Poi ognuno fa valere la propria cultura politica, si garantisce il pluralismo e via dicendo. Se non facciamo oggi un salto di qualità siamo degli irresponsabili. Terzo punto dobbiamo riprendere il tema della rifondazione comunista. Non si tratta di declinarlo solo come verifica degli errori e degli orrori fatti nel movimento comunista ma è necessario aprire una discussione seria sul significato della parola comunista come grande progetto, un’idea per cui valga la pena di battersi. Dobbiamo costruire una nostra narrazione. Vorrei che fosse chiaro questo punto che reputo delicato. Penso che in questi anni abbiamo fatto un’operazione sacrosanta di individuazione degli errori e degli orrori commessi dal movimento comunista con l’obiettivo di dire che gli errori vanno riconosciuti perché sono la condizione per non ripeterli. La scienza procede per esperimenti ma la condizione è che l’esperimento venga verificato. In questo senso, io che penso che il marxismo sia una scienza e non una ideologia, credo quindi che le esperienze vadano analizzate per capire dove abbiamo sbagliato. Ma questa critica deve essere finalizzato alla ricostruzione di una ipotesi comunista, non alla sua dissoluzione. Per questo non sono d’accordo con Bertinotti. Il progetto della rifondazione deve essere finalizzato alla rivitalizzazione di una proposta comunista di trasformazione, sapendo che il nome comunista è carico di significato e non si può sfuggire al nodo. La parola comunista è così attaccata visceralmente perché rappresenta il tentativo di sovvertimento dell’ordine di cose esistenti . Qualsiasi nome ti cerchi se ha la stessa carica dirompente sarà comunque attaccato, non è che risolvi il problema cambiando il nome per far finta di non essere più la stessa cosa. Perche il problema è che cosa sei e che cosa vuoi fare. Io credo che noi abbiamo giustamente molto decostruito ma non costruito a sufficienza. Oggi è il tempo della costruzione: di una proposta, di un immaginario. Non c’è lavoro sociale che basti se non ha una narrazione, se non è in grado di proporre una lettura, di far scaturire una identificazione perché il lavoro sociale che facciamo lo facciamo in nome di una speranza: rifondazione comunista vuol dire oggi ricostruire questa speranza. Ultimo nodo. A partire dalla centralità del lavoro sociale e della costruzione di una idea di fondo della trasformazione sociale, c’è il nodo più di direttamente politico. Dobbiamo rafforzare il Partito della rifondazione comunista. Dobbiamo far vivere la lista anticapitalista e comunista a partire dal coordinamento che ci siamo dati. Dobbiamo costruire un polo della sinistra di alternativa: anti- capitalista, autonoma dal Pd, di classe, contro il bi-polarismo e fuori dal centro sinistra. Il nodo è lo stesso del ’98: c’è una sinistra sola o ci sono due sinistre? Io penso che valga la seconda e mi dispiace che Fausto abbia cambiato opinione. Noi dobbiamo lavorare col Pdci, con Socialismo 2000 e con tutti coloro che sono disponibili a far partire un progetto e che costruisca un polo della sinistra di alternativa nel paese. Avanziamo questa proposta politica a tutti, da Ferrando a Vendola sul piano politico, ma soprattutto a tutti e tutte coloro che ogni giorno lavorano concretamente, in mille forme e spesso fuori dai partiti, per l’alternativa. Dobbiamo entro luglio fare una grande assemblea con tutti coloro che sono interessati alla costruzione di una sinistra di alternativa, evitando i barocchismi dell’assemblea pre-sinistra arcobaleno. Dobbiamo fare una campagna d’autunno che tenga assieme la costruzione del conflitto sociale e la costruzione di un polo della sinistra di alternativa, così come dobbiamo la prossima settimana fare una campagna contro il referendum molto forte. Sui ballottaggi la mia opinione è semplicissima: fatto salvo un invito a votare contro le destre, o ci sono gli apparentamenti o la campagna di Rc come partito è finita.