Cerchiamo di capire che cosa sta succedendo tra l’America e l’Italia. La prima domanda riguarda i protagonisti dello strappo. Se si tratta della Casa bianca di Bush e del governo Prodi-D’Alema o se, più in generale, si tratta degli Stati uniti e del nostro paese. A leggere le sei pagine di commenti del Corriere della Sera di ieri sul caso rappresentato dalla liberazione di Daniele Mastrogiacomo, il contenzioso sembra grave e dovuto al ricatto della sinistra radicale, su un governo ricattabile sino al punto da mettere a repentaglio sessant’anni di fedeltà al grande alleato. Insomma: con Berlusconi non sarebbe mai successo.
A leggere l’articolo in prima pagina sull’edizione on line del New York Times di oggi la crisi è tra gli Stati uniti e l’Italia. E’ una crisi che è venuta maturando da tempo con prese di posizioni e iniziative – l’avversione per la guerra all’Iraq, il caso Calipari, la richiesta di estradizione per gli agenti Cia per il sequestro Abu Omar, le regole d’ingaggio dei soldati italiani in Afghanistan – che il quotidiano valuta duramente. La liberazione di Mastrogiacomo viene raccontata partendo dalla definizione di leftist, appioppata a Repubblica: un termine che significa sinistrorso… E per un giornalista di un quotidiano leftist si sono rimessi in libertà pericolosi terroristi, catturati in una guerra che dura da ormai quasi cinque anni.
La guerra afghana è persa al pari di quella irachena, come il New York Times rimprovera al suo governo un giorno sì e l’altro pure. Il fatto è che le prese di distanze da Bush e da Cheney, le critiche, le accuse sono ammesse soltanto se provengono da americani. Gli alleati europei possono solo accodarsi a Washington, come anche in quest’ultimo caso hanno fatto subito gli inglesi, i tedeschi e gli olandesi, i più solerti nella subalternità.
Romano Prodi e Massimo D’Alema hanno fatto scelte non subalterne. I motivi possono essere diversi. Per Prodi si tratta di continuare una linea assunta già a Bruxelles e che lo ha da tempo reso inviso a Washington. La linea è quella di cercare per l’Unione europea una strategia politica comune che porti a mettersi al tavolo con gli americani e a parlar loro da pari a pari. Finora gli è andata male e la diffidenza Usa nei suoi confronti è intanto aumentata. Come vien fuori dalle ultime prese di posizioni persino dell’ambasciatore americano.
Per D’Alema il gioco in cui si è imbarcato è di medio-lungo termine: da un lato sta contando i giorni che mancano all’uscita di George Bush dalla Casa bianca e dall’altro sta ritagliandosi il ruolo del politico europeo che guarda agli scenari di crisi con una strategia non-americana. Il caso Israele-Palestina è un esempio di questo suo gioco. E’ un gioco che prevede scontri pubblici e intese private, ambedue utili a farlo salire nella considerazione dei governi autonomi da Washington. Che non sono poi tanti.