Dunque ci risiamo. Non si è ancora concluso l’iter di approvazione della Finanziaria, che già il governo torna a reclamare la «fase 2» delle «riforme strutturali». Non contento di una manovra che per sua stessa ammissione costa al Paese il doppio del necessario, il ministro dell’Economia torna a reclamare nuove privatizzazioni e nuovi attacchi alle pensioni. E trova subito l’on. Fassino pronto a dargli man forte e a chiedere che si colpiscano i «privilegi del pubblico impiego».
Come andranno effettivamente le cose – se tali pretese si tradurranno o meno in fatti concreti – è difficile dirlo oggi. Ma certo non possiamo correre il rischio di trovarci all’ultimo momento a dover fare i conti con accadimenti che dovessero riflettere simili posizioni. È bene riflettere sin d’ora, come ha fatto su queste pagine Andrea Colombo qualche giorno fa, mettendo in chiaro aspetti rilevanti di questa fase politica. Cerchiamo dunque di ragionare con la necessaria freddezza.
Cominciamo dalla Finanziaria appena approdata in Senato. Che giudizio possiamo darne? Nelle scorse settimane abbiamo parlato di luci e di ombre. Era giusto. Nel disegno di legge e negli emendamenti proposti dal governo c’erano cose buone (le nuove aliquote Irpef, le misure di contrasto all’elusione e all’evasione fiscale, provvedimenti volti alla regolarizzazione del sommerso e alla stabilizzazione del precariato nel pubblico). Ma c’erano anche diverse cose discutibili o decisamente negative: i tickets, il termine di validità delle graduatorie scolastiche, i 6 miliardi regalati alle imprese per la riduzione del cuneo fiscale, i tagli a scuola, università e ricerca, la manovra sul Tfr che costituisce di per sé il primo pezzo di una nuova, irricevibile «riforma» del sistema pensionistico. E, non da ultimo, un ulteriore incremento delle spese militari, tanto più grave nel momento in cui il governo dichiara di ritrovarsi con le casse vuote e opera pesanti tagli alla spesa sociale.
Ora, però, le cose non stanno più in questi termini. Proprio perché nella prima versione della Finanziaria c’erano tante cose che non andavano, si è sviluppata nel Paese e in Parlamento una battaglia volta ad ottenere dal governo alcuni significativi miglioramenti. C’è stata l’imponente manifestazione del 4 novembre contro la precarietà del lavoro. C’è stato il primo sciopero di questa legislatura, che ha visto in piazza decine di migliaia di lavoratori della scuola, dell’università e degli enti di ricerca. E c’è stato il costante impegno della sinistra dell’Unione, a cominciare da Rifondazione Comunista, teso a fare presente al governo che gli impegni presi vanno rispettati, che l’equità è un obiettivo irrinunciabile dell’azione politica e che, dopo cinque anni di Berlusconi e quindici di neoliberismo, le aspettative del nostro popolo – lavoratori, giovani, donne, pensionati, migranti – debbono costituire la base di ogni decisione. Il risultato di questa iniziativa è stato un accordo in forza del quale il governo si è impegnato a migliorare la Finanziaria in alcuni suoi aspetti qualificanti. Ha promesso la riduzione dei tickets per le fasce con minor reddito, l’eliminazione del termine di validità delle graduatorie scolastiche, misure più efficaci per la stabilizzazione dei cosiddetti parasubordinati. Queste e altre cose sarebbero dovute entrare nella Finanziaria sottoposta al vaglio della Camera e quindi dovrebbero figurare nel testo trasmesso al Senato. Ciò avrebbe consentito una nuova iniziativa, volta a porre altre questioni cruciali, a cominciare dallo scandalo delle spese militari. Il fatto che in una Finanziaria «di rigore e di risanamento» le risorse destinate a nuove armi aumentino di oltre due miliardi di euro rispetto all’anno precedente (determinando un incremento percentuale dell’11% sul totale della spesa) è semplicemente inaccettabile. Non solo per noi, sinistra dell’Unione, popolo della pace e del lavoro. Per tutto il Paese. Per quanti sono costretti a ridurre consumi e a rinunciare a progetti di vita, poiché ingenti risorse che potrebbero andare alla scuola e alla sanità sono invece destinate all’acquisto di carri armati o di cacciabombardieri. Avremmo posto in primo luogo questo problema al governo, confidando nella saggezza e nella prudenza dei nostri alleati.
Questo dunque era l’accordo, che avrebbe consentito di raggiungere – alla fine del percorso – un risultato soddisfacente. Certo, non sarebbe stata comunque la nostra Finanziaria. Ma si sarebbe trattato di una mediazione avanzata, soprattutto considerando gli angusti margini di manovra concessi dalla pesante eredità della destra e dai gravi effetti prodotti da un’evasione fiscale che non ha confronti in nessun Paese sviluppato. Senonché le cose sono andate molto diversamente. Com’è noto, il governo ha posto la fiducia sulla Finanziaria alla Camera. E ha messo la maggioranza dinanzi al fatto compiuto di un «maxi-emendamento» che non riflette gli accordi sottoscritti. Rimangono i tickets, e rimane il 2010 come limite di validità delle graduatorie scolastiche (unico capitale per decine di migliaia di insegnanti costretti a un precariato mortificante). Non bastasse, il governo fa nuovi, inattesi regali ai padroni, riducendo i premi assicurativi all’Inail e cancellando persino l’innalzamento delle imposte sulle rendite speculative che in campagna elettorale ha rappresentato uno dei principali cavalli di battaglia di Prodi e dell’Unione.
Se non vogliamo raccontarci delle favole, il risultato è che il passaggio alla Camera non solo non ha migliorato il testo originario, lo ha peggiorato. Quella che arriva al Senato è una Finanziaria ancor più squilibrata sul lato del «rigore» e, nello stesso tempo, paradossalmente, ancor più generosa verso le imprese. Qualcuno – al cospetto di tale esito – ha parlato di concessioni al fronte moderato in vista del voto in Senato, altri di prove tecniche di «larghe intese». Quale che sia il fondamento di simili ipotesi, è sin troppo facile osservare che la spregiudicatezza non costituisce un fattore di stabilità. E che, procedendo in questo modo, si rischia di produrre un danno serio al Paese, alla maggioranza di governo e alle stesse forze sociali, costrette a una difficile sintesi tra la difesa degli interessi rappresentati e l’esigenza di preservare un quadro politico alternativo alle destre.
Dopodiché siamo all’oggi e alle grida di cui parlavamo all’inizio. Invece di disporsi in un atteggiamento di ascolto e disponibilità nei nostri confronti, che cosa fa il governo proprio alla vigilia dell’esame della Finanziaria da parte del Senato? Dà avvio a un’offensiva in grande stile che ribalta l’ordine del discorso. Quasi che avesse sin qui fatto grandi concessioni alla sinistra, si impegna in altisonanti proclami per annunciare che privatizzerà quanto ancora resta in mano pubblica (a cominciare dai servizi pubblici locali) e che «riformerà» le pensioni, come chiedono in coro l’Unione europea, le agenzie di rating e il Fondo monetario internazionale. Ora, dal nostro punto di vista, le cose sono molto chiare. Potremmo indugiare in qualche considerazione retrospettiva, osservando per esempio che quanto sta accadendo conferma i nostri dubbi circa le presunte evoluzioni positive dell’Ulivo rispetto ai fatidici anni Novanta. O confrontando il dibattito interno del partito durante il VI Congresso con gli attuali sviluppi del confronto politico in seno all’Unione, ci paiono confermate in pieno le perplessità che allora avanzammo. Detto questo dobbiamo guardare avanti. Altre urgenze premono e debbono avere la precedenza in questo frangente.
Quello che ci pare fondamentale è che tra noi si sviluppi per tempo un dibattito serio e approfondito sulla situazione politica e sulle prospettive cui essa potrebbe condurre. In una recente intervista alla Stampa il segretario Franco Giordano ha sostenuto che la richiesta di una «fase 2» fatta di «riforme strutturali» spinge in una direzione «opposta a quella che dovremmo prendere». E ha concluso, rivolto in primo luogo al ministro Padoa-Schioppa e ai suoi colleghi di governo specializzati nell’arte delle privatizzazioni (i ministri Bersani, Bonino e Lanzillotta), che essi sbaglierebbero a pensare che Rifondazione Comunista sta nella maggioranza per obbedire alle decisioni assunte dalle forze moderate dell’Unione e in particolare dall’Ulivo. Siamo pienamente d’accordo. Dobbiamo impegnarci da subito affinchè a queste parole seguano atti conseguenti. Da parte nostra vogliamo aggiungere soltanto l’auspicio che il governo, a cominciare dal presidente Prodi, riveda in tempo talune scelte poco meditate e trovi il coraggio di tornare rapidamente sui propri passi. I lavoratori, i pensionati, i giovani precari, i migranti – in una parola il popolo che ci ha fatto vincere le elezioni – attendono risposte ai loro troppi bisogni insoddisfatti, e hanno tutto il diritto di pretendere che, dopo decenni di liberismo sfrenato, cambi finalmente qualcosa.