La stampa statunitense descrive la situazione creatasi in Iraq come un quagmire, un pantano. La posizione statunitense è insostenibile e per certi aspetti peggiore di quella nel Vietnam. Più a lungo dura l’occupazione tanto più aumenta il caos. Tuttavia se gli Usa se ne vanno subiscono una sconfitta geoeconomico-politica in tutto il Medioriente che aprirebbe la zona all’influenza egemone dell’Europa. Nel Vietnam, invece, tra il 1965 ed il 1975 Washington aveva isolato il potenziale effetto domino attraverso l’appoggio al regime genocida di Suharto in Indonesia, con la formazione dell’Asean nel 1967, che consolidava il nucleo di sviluppo capitalistico imperniato su Thailandia, Indonesia, Malaysia e Singapore, nonché attraverso la normalizzazione avviata da Nixon nei confronti di Pechino. Niente di tutto ciò è possible nel caso iracheno ove domina solo la distruzione prodotta dall’invasione e dall’occupazione. La stessa crescita Usa causata dalla spesa militare in Iraq è intercettata dalla Cina e non dai paesi della regione mediorientale. Gli Usa devono trovare paesi con cui spartire costi e caduti. Si capisce quindi perché in un programma recentemente trasmesso dalla Bbc, autorevoli esponenti repubblicani esprimevano giudizi molto pacati sul candidato democratico sottolineando come ambo i concorrenti desiderino un intervento della «comunità internazionale», cioè dell’Europa e delle Nazioni unite. La posizione «bipartisan» statunitense è ampiamente condivisa nell’Ulivo.
I politici statunitensi non hanno alcuna probabilità di successo. Quindi la posizione ulivista-rutelliana è già morta in partenza. Proporre di portare l’Europa in Iraq significa portarci la Francia, la Germania, la Spagna. Quest’ultima ha appena fatto in tempo a lasciare il vulcano-Najaf ove erano stanziate le sue truppe. In Iraq non ci ritornerà più. Francia e Germania non accetteranno mai di entrare nel pantano iracheno. Ricordiamo che il voto alla Spd ed ai Verdi nel 2002 fu un voto contro la guerra. Con l’attuale situazione di tensione sociale Berlino non ci pensa nemmeno lontanamente ad impegnarsi in Iraq. Invece sta sviluppando rapporti con l’Iran che dopo gli accordi di Najaf è diventato una potenza politica di primo piano in Iraq stesso. Quanto alla Francia la vittoria di Zapatero ed il ritiro dall’Iraq ha confermato la posizione francese in materia ed ha rafforzato moltissimo il presidente Chirac agli occhi dell’opinione pubblica oltre che ad aumentare il peso dello schieramente franco-tedesco in Europa. Anche la vicenda del velo, che piaccia o no, rafforza Chirac. Il presidente francese viene applaudito per non essere andato in guerra, per non aver mandato soldati dopo l’invasione e per non cedere «all’islamismo» sul piano interno. La vicenda del velo connessa agli ostaggi aumenta la popolarità di Chirac, importantissima per la politica economica, mentre il mondo arabo esprime solidarietà alla Francia. Il prestigio del presidente è quindi molto alto. L’Ue non andrà in Iraq, il resto sono chiacchere ad uso e consumo nostrano.