Il «programma», già in vigore sotto l’Amministrazione Clinton (almeno settanta «renditions» prima del settembre 2001), viene grandemente espanso sotto quelle di G.W. Bush. Il 13 novembre 2001, due mesi dopo l’attacco dell’11 Settembre, il presidente firma il «Military Order on the Detention, Treatment, and Trial of Certain Non-Citizens in the War Against Terrorism» («Detenzione, trattamento e processo di certi non-cittadini nella lotta contro il terrorismo»), che apre le porte alla indefinita detenzione senza obbligo di prova o processo di chiunque sia sospetto di essere «coinvolto o aver tramato atti di terrorismo internazionale». Il 7 febbraio, un memorandum segreto firmato da Bush dà carta bianca a torturatori e sequestratori di Stato: «Ho determinato che nessuna delle disposizioni di Ginevra (la Convenzione sul trattamento dei prigionieri di guerra, ndr) si applica al nostro conflitto con al-Qaeda in Afghanistan o in qualsiasi altra parte del mondo». Il presidente, inoltre, autorizza il ministro della Difesa Donald Rumsfeld a formare una unità segreta all’interno del Pentagono, di cui solo pochissimi sono informati alla Casa Bianca e alla Cia. Alla struttura operativa contribuiscono elementi «scelti» delle forze speciali dell’Esercito (Delta), della Marina (DevGroup) e paramilitari della Cia. Il primo obiettivo del programma è la cattura di presunte figure-chiave del terrorismo internazionale.
L’appoggio logistico viene fornito da varie altre unità e da una flottiglia di aerei militari e commerciali. Il 21 Marzo 2002, Rumsfeld emette le disposizioni che regolano l’attuazione delle disposizioni presidenziali. Nella sostanza, poichè diretto ad inviare i presunti terroristi in Paesi o luoghi ove essi sono torturati o sottoposti a trattamenti inumani, il programma delle ER («extraordinary renditions») implica la violazione della Convenzione di Ginevra sulla «Tortura ed Altri Metodi di Trattamento e Punizione Crudeli, Inumani e Degradanti» (firmata da una settantina di Paesi, tra cui gli Stati Uniti nel 1994 e l’Italia nel 1989); la violazione della Convenzione Europea sui Diritti Umani; la violazione della sovranità nazionale del Paese ove avvengono i rapimenti da parte di forze speciali estere; e la violazione delle norme che regolano l’estradizione di presunti criminali da un Paese all’altro (che richiede un preciso trattato, quasi sempre inesistente nei casi noti).
Legalità a parte, il programma ha inoltre dimostrato di aver avviato un infernale meccanismo. Quanti più rapiti vi sono, quanto più i responsabili di tali attività crescono nell’apprezzamento dei superiori e dei responsabili politici, il che è un oggettivo incentivo a non badare troppo per il sottile quanto a verosimiglianza delle accuse rivolte per giustificare i rapimenti. I rapiti, sotto tortura, confermano qualsiasi cosa venga loro chiesta di firmare o di ammettere, in particolare di fare nomi di altri o di confermanre liste di nomi loro sottoposte. Le «confessioni» avviano a loro volta un’espansione del «programma» del tutto auto-indotta e che ha avuto terribili esiti per centinaia di persone successivamente incongruamente coinvolte.
I rapiti, portati in campi di detenzione più o meno segreti (dall’Afghanistan all’Iraq, da Guantanamo all’Egitto, dalla Siria alla Giordania, dal Kosovo a, si dice oggi, l’Europa Orientale) vengono sottratti a qualsiasi giurisdizione e impossibilitati a difendersi da accuse che non sono mai state loro elevate pubblicamente, chiudendo così il circolo delle «conferme» del programma. In quattro anni, oltretutto, per buona pace di coloro che usano tale medievale giustificazione, non vi è stato mai alcuna prova verificabile che tali metodi – per quanto barbarici – abbiano avuto un qualche effetto. Al contrario, essi hanno costituito una base oggettiva di odio e risentimento contro gli Stati Uniti e i Paesi che li hanno appoggiati.