«Ogni decreto emanato dalla presidenza della repubblica dovrebbe essere pubblico e noto ai cittadini afgani». Non ci dovrebbero essere segreti, dice in sostanza l’avvocato Afzal Nooristani riferendosi al regolamento speciale dell’intelligence afghana sotto cui ricade lo spinoso dossier Rahmatullah Hanefi. Afzal Nooristani è il direttore della Legal Aid Organization of Afghanistan, organismo non governativo formata da avvocati afghani e finanziato dal programma giustizia della cooperazione italiana. E’ uno degli avvocati più impegnati nella battaglia per una nuova cultura giuridica che affermi i principi di garanzia per gli accusati, il rispetto dei diritti umani, la durata dalle detenzione. Un lavoro difficile. Quando affrontiamo con lui il caso di Hanefi, Nooristani dice quello che pensa senza esitazione. «La costituzione non dà al presidente un potere del genere. E io credo che tutti i decreti, anche quello sui servizi, debbano passare per l’approvazione del parlamentoi».
Insomma questo decreto dà ai servizi dei poteri speciali.
Per la verità questo decreto nessuno lo ha visto. Non è pubblico e paradossalmente potrebbe anche non esistere. Certo è che la Nds (Direzione per la sicurezza nazionale) ha molto potere. Del resto la segretezza sulle regole dei servizi ha in Afghanistan una lunga storia. Penso all’epoca sovietica. Ma adesso è diverso, adesso si può parlare, si deve farlo
Cosa vuol dire essere un avvocato in Afghanistan?
Lo dicono i numeri. Non arriviamo a 300 e con una popolazione carceraria di 10mila individui. Il problema è che in Afghanistan non c’è una cultura del rispetto del diritto di difesa degli accusati. Ecco perchè chi studia legge pensa a fare il giudice o il procuratore, non certo l’avvocato
Perché?
Perche’ nei processi la sua figura non era praticamente contemplata. Quando c’era e, nel caso, solo in processi civili e non penali, si limitava a un ruolo di “notaio”. Spesso nemmeno partecipa al processo. Tutto il resto veniva, e ancora viene fatto, tra la pubblica accusa e il giudice. E sempre a detrimento dell’accusato. C’e’ dunque una questione di cultura giuridica. Ma anche di denaro, nel senso che in un paese povero chi finisce in galera non solo non sa che avrebbe diritto alla difesa, ma non avrebbe comunque i soldi per pagarsela
Come se ne esce?
In parte anche col nostro lavoro e quello di altre associazioni che consiste nel fornire assitenza gratuita legale e poi con le garanzie di assistenza che ogni accusato deve avere e che sono previste dal nuovo codice. Serve tempo
Quale formazione avete?
C’è chi esce dalla facoltà di giurisprudenza, chi dalla facoltà di sharia
Pesa nel codice afgano?
Il codice penale attuale e anche il precedente sono in realtà in grado di coprire qualsiasi reato e il ricorso alla sharia in realtà si dovrebbe dare solo per alcune cause civili magari non ancora coperte dal diritto. Di fatto viene applicata a discrezione del giudice
In Afghanistan c’e la pena di morte. Cosa ne pensa la gente?
E’ un tema delicato e che non si puo’ iniziare a trattare adesso. Ora una battaglia sull’abolizione della pena capitale creerebbe solo problemi. Entro l’anno dovremmo avere il nuovo codice di procedura penale ed entro tre mesi, speriamo, la legge che regola il nostro lavoro di avvocati. Iniziamo da lì.
Un’ultima domanda: ci sono altri arrestati dai servizi come nel caso di Hanefi?
Ufficialmente no
Lettera22