Lavoro Societa’ Cambiare rotta

Sintesi del documento

Lavoro Societa’ Cambiare rotta

Documento presentato da:

Gian Paolo Patta, Ferruccio Danini,
Giorgio Cremaschi, Paola Agnello Modica,
Alessio Ammannati, Cataldo Ballistreri,
Vittorio Bardi, Paolo Belloni,
Domenico Bonometti, Sergio Cardinali,
Wilma Casavecchia, Angela Di Tommaso,
Giuseppe Fantin, Aurora Ferraro,
Francesco Grondona, Beniamino Lami,
Piero Leonesio, Bruno Manganaro,
Carmine Miglino, Pietro Milazzo,
Andrea Montagni, Vincenzo Pillai, Bruno Rastelli, Raffaello Renzacci, Rosy Rinaldi, Augusto Rocchi, Rossano Rossi, Maurizio Scarpa, Luigi Servo,
Mario Sinopoli, Dino Tibaldi, Sergio Tosini,
Giuseppe Turudda, Giustino Zulli

1. La necessità di una svolta

La vittoria della destra, la svolta antisindacale in Confindustria, la crisi dell’unità con Cisl e Uil disegnano un quadro nel quale la Cgil dovrà ridefinire se stessa e la propria collocazione. Tutta la Cgil deve essere unita nel lottare per la difesa dei diritti dei lavoratori e della contrattazione, su questo piano c’è l’identità comune che lega tutti i militanti e gli iscritti della Cgil; non è questo ciò su cui deve decidere il congresso.

Il congresso deve decidere se la lotta contro l’attacco ai diritti dei lavoratori possa avvenire rivendicando la continuità con l’impostazione e la pratica degli anni passati, oppure se sia necessario cambiare rotta.

In questi anni le lavoratrici e i lavoratori italiani hanno visto peggiorare i loro redditi, i loro diritti, le loro condizioni sociali e di vita, il loro peso e riconoscimento nella società.

Negli anni 90 i sacrifici per il risanamento del debito pubblico (600.000 mld) non sono stati distribuiti equamente, la gran parte del peso è gravata sui lavoratori, sui pensionati e sui ceti meno abbienti.

Le rendite finanziarie e i profitti non sono stati toccati mentre i redditi da lavoro dipendente si sono ridotti, facendo registrare dal ’92 una perdita che ha raggiunto nel 2000 i 112.000 miliardi di lire.

I meccanismi di politica dei redditi previsti dall’accordo del 23 luglio ’93 hanno fatto sì che i salari non riuscissero neppure a recuperare l’inflazione; in tal modo tutti gli incrementi di produttività, pagati pesantemente dai lavoratori con ristrutturazioni e licenziamenti, sono finiti in profitto per il padronato.

Gli anni 90 ci consegnano un tasso di disoccupazione (circa 10%) tra i più alti in Europa, con una crescita del lavoro nero, dei rapporti di lavoro atipici e dei parasubordinati; la stragrande maggioranza dei nuovi rapporti di lavoro sono di tipo precario.

La precarietà tende a divenire condizione generale dei lavoratori e delle lavoratrici; non solo per i giovani in generale che trovano soltanto contratti a termine, part time, posizioni parasubordinate, lavoro interinale ecc., ma anche per coloro i quali lavorano da tempo in situazioni «garantite», che sono sottoposti a processi di riorganizzazione, di modifica di orari, di flessibilità, che introducono una condizione di precarietà e incertezza.

Infortuni sul lavoro, morti e malattie professionali continuano a rimanere molto elevati nel nostro paese.

Il divario di sviluppo, accresciutosi negli anni 90, tra il Centro-Nord del paese e il Mezzogiorno vede un tasso di disoccupazione doppio (21%) e per i giovani del 31% a livello nazionale, mentre nel Mezzogiorno è assolutamente intollerabile (55%).

Negli anni 90 si sviluppa un attacco allo Stato sociale, la sua privatizzazione e aziendalizzazione, la messa in discussione di diritti ormai ritenuti un’irreversibile conquista di civiltà, un’enorme crescita delle diseguaglianze, la tendenza al ritorno a uno Stato sociale minimo, come sussidio ai poveri (tasso di povertà dall’11,5% del ’92 al 13,1 del ’99).

La condizione delle lavoratrici e delle pensionate è peggiorata; l’aumento dei lavori precari e atipici è avvenuto principalmente a loro danno e i tagli ai servizi sociali presuppongono che, di nuovo, sia la famiglia, cioè le donne, a fornire gratuitamente assistenza ai bambini, malati, anziani ecc. Oggi c’è il rischio che le donne paghino duramente la lotta per la loro libertà, anche per il riproporsi di attacchi oscurantisti sull’aborto e sulla sessualità.

Si sono privatizzati servizi strategici; la parte ricca viene affidata al mercato, quella più povera resta in mani pubbliche; in questo modo si esentano dai costi della solidarietà sociale tutte le classi più abbienti.

La crisi economica, sociale e politica che ha investito l’Italia agli inizi degli anni 90 ha prodotto profonde modificazioni; questi cambiamenti hanno avuto un segno sociale negativo.

Non si può continuare per la strada che ci ha portato sino a qui; bisogna cambiare, è necessaria una svolta, una nuova piattaforma della Cgil nel lavoro e nella società.

Va ricostruita l’unità sindacale, partendo dalla democrazia e dalla partecipazione nella vita del sindacato, ridando voce e potere di decisione a lavoratrici e lavoratori, a disoccupati, pensionati, giovani sapendo che, a volte, com’è accaduto ai metalmeccanici, potrà essere necessario scioperare anche da soli. Condizione fondamentale per riaprire il confronto con Cisl e Uil è la piena riaffermazione, nei princìpi e nella pratica, dell’autonomia sindacale dai partiti, dai governi, dai padroni.

2. Per un’alternativa al liberismo

* La difesa del modello sociale europeo

Gli anni 90 hanno visto l’affermarsi del liberismo, con l’inizio dello smantellamento dello Stato sociale, la privatizzazione dei servizi pubblici, la liquidazione della presenza dello Stato nell’economia; occorre, invece, un nuovo modello di sviluppo che valorizzi il lavoro, orienti lo sviluppo economico nel quadro di una sostenibilità ambientale e sociale che impedisca processi irreversibili di degrado.

Il modello sociale europeo va difeso, ma questo non basta. Vanno individuati gli elementi di ulteriore sviluppo, in particolare in direzione di una vera universalità di diritti e garanzie sociali, individuali e collettive. Bisogna rispondere con la prospettiva di uno Stato sociale europeo e un assetto democratico delle istituzioni europee per una vera costruzione politica democratica dell’Europa.

* Contro la globalizzazione liberista

La globalizzazione liberista ha promesso sviluppo per tutti e, invece, ha prodotto disastri sociali per la grande maggioranza della popolazione mondiale. I ricchi sono diventati più ricchi e i poveri più poveri. La Cgil partecipa, con la propria identità e autonoma elaborazione, al movimento di massa antiliberista sorto con le mobilitazioni di Seattle, con il Forum sociale di Porto Alegre, con le iniziative per il G8 di Genova. La Cgil ricerca confronto e unità con tutti i movimenti che si pongono la necessità di contrastare la globalizzazione liberista. Bisogna porre mano alla definizione di un nuovo internazionalismo contrapponendo alla globalizzazione liberista l’internazionalizzazione dei diritti, della democrazia e delle istituzioni sociali.

* No alla guerra

La guerra torna ad essere lo strumento della soluzione dei conflitti: particolarmente grave è stato lo strappo operato con l’appoggio dato dalla Cgil, con la formula della «contingente necessità», all’intervento Nato contro la Serbia. Con il XIV Congresso la Cgil recupera la coerenza con le proprie radici storiche ripristinando nel proprio Statuto la formulazione: «La Cgil ripudia la guerra come strumento di soluzione dei conflitti».

* Una riforma democratica dello Stato

Il modello di federalismo che si va prefigurando in Italia è sempre più quello, negativo, di un nuovo centralismo regionalista. Le modifiche alla Costituzione su questo tema innescano elementi di destabilizzazione istituzionale e democratica in quanto stabiliscono una preoccupante delega al privato nell’ambito degli interventi sociali.

Per la Cgil è essenziale che su questioni sociali determinanti quali le prestazioni dello Stato sociale, i servizi pubblici, la previdenza, il mercato e le garanzie del lavoro si mantenga una struttura che garantisca gli stessi diritti e le stesse prestazioni in tutto il paese. La Cgil è nettamente contraria al federalismo fiscale, ma anche a quello contrattuale.

3. Una nuova piattaforma per la Cgil

3.1. Occupazione e lavoro

* Mezzogiorno e politiche industriali

La Cgil si pone l’obiettivo della piena occupazione e propone che si definisca un piano nazionale per l’occupazione e lo sviluppo del Mezzogiorno, per recuperare il divario con il Centro-Nord. La Cgil ritiene chiusa la fase del risanamento finanziario: deve aprirsi una nuova fase caratterizzata da politiche di sviluppo e d’incremento della domanda interna sostenendo i consumi popolari. Lo Stato deve tornare a promuovere e a gestire politiche industriali, in particolare nei settori strategici e per favorire la ricerca e l’innovazione.

* Contro la flessibilità e la precarietà

La Cgil intende contrastare e modificare la situazione di precarietà crescente e di flessibilità selvaggia. I diritti individuali e collettivi tipici del rapporto di lavoro a tempo indeterminato vanno affermati in tutto il mondo del lavoro. Questo significa combattere il lavoro interinale, ridimensionare i contratti a termine in tutte le loro forme ed estendere le tutele del lavoro dipendente al lavoro parasubordinato e alle collaborazioni temporanee. Anche il socio-lavoratore delle cooperative deve avere gli stessi diritti contrattuali degli altri lavoratori.

* Per i diritti degli immigrati

L’immigrazione, fenomeno inarrestabile, deve essere governata secondo una logica di accoglienza e integrazione. È necessario battersi per una politica dei diritti degli immigrati, a partire dal diritto al lavoro per tutte e tutti, contro ogni discriminazione salariale e normativa tra lavoratori italiani e stranieri. Chi ha un lavoro, regolare o irregolare che sia, ha diritto al permesso, anche per combattere la piaga del lavoro nero. Gli immigrati devono poter votare. La Cgil si impegna a valorizzare nelle proprie fila una leva di delegati e dirigenti sindacali immigrati.

* Riconquistare il potere sulle proprie condizioni di lavoro

L’estensione della flessibilità ha sconvolto e reso in parte inefficaci i tradizionali strumenti di controllo dell’orario e dell’organizzazione del lavoro, mentre il padronato vuole subordinare in tutto e per tutto la prestazione lavorativa alle esigenze aziendali. La Cgil intende ripristinare un controllo degli orari, dei tempi e dell’organizzazione del lavoro promuovendo le necessarie modifiche legislative, ma soprattutto operando una svolta nella contrattazione, che ricostruisca controllo e potere dei lavoratori sulle proprie condizioni di lavoro.

* La lotta per la sicurezza

Nonostante l’introduzione della legge 626, infortuni sul lavoro, morti e malattie professionali restano molto elevati nel nostro paese. La flessibilità e l’intensificazione dei ritmi di lavoro sono tra le nuove cause di infortunio. Va ripristinato un controllo contrattuale e ispettivo sugli appalti. Vanno eletti ovunque gli Rls e dedicate al loro funziomento maggiori risorse. La Cgil riprende la lotta per il risanamento dell’ambiente. Anche perché attività di riuso, riciclo, recupero possono produrre molti buoni posti di lavoro.

3.2. Salari, orario e redditi

* Redistribuire la ricchezza

Negli anni 90 si è operata una gigantesca opera di risanamento del debito pubblico. La gran parte del peso è gravata su lavoratori, pensionati e ceti meno abbienti. Va sanata questa ingiustizia sociale, redistribuendo la ricchezza verso chi più ha pagato.

* Contro la politica dei redditi

I meccanismi di politica dei redditi previsti dall’accordo del 23 luglio ’93 hanno fatto sì che i salari non riuscissero neppure a recuperare completamente l’inflazione. Per questo la Cgil intende superare i meccanismi di centralizzazione e i vincoli alla dinamica salariale presenti in quell’accordo, restituendo piena autonomia alla contrattazione. Per i salari la Cgil si dà l’obiettivo di recuperare, in entrambi i livelli di contrattazione, oltre l’inflazione reale almeno l’aumento effettivo del Pil. Va, invece, eliminato ogni riferimento all’inflazione programmata e, a livello aziendale, qualsiasi legame tra salario e redditività d’impresa.

* Per la riduzione d’orario

Va ripresa con forza una politica di redistribuzione del lavoro attraverso la riduzione dell’orario. La Cgil esprime un giudizio critico sul proprio operato complessivo su questa materia, a causa del mancato perseguimento dell’obiettivo, assunto al XIII Congresso, delle 35 ore settimanali. La Cgil decide con il suo XIV Congresso di riprendere l’azione per la riduzione generalizzata dell’orario a 35 e a 32 ore settimanali.

* I contratti

Il contratto nazionale deve tornare ad essere lo strumento fondamentale di conquista di migliori condizioni su salario, orario, professionalità e diritti. Solo in questo modo si difende il ruolo prioritario del contratto collettivo come elemento di unità e solidarietà tra i lavoratori e di lotta contro la precarizzazione. La contrattazione aziendale, in primo luogo su salario e organizzazione del lavoro, va allargata ovunque possibile, estendendola anche a tutta l’area del lavoro precario e terziarizzato che oggi ne è esclusa. Anche per l’artigianato bisogna sottoporre a revisione l’attuale meccanismo contrattuale per tornare a un rapporto diretto con i luoghi di lavoro.

* Per la giustizia fiscale

Il sistema fiscale italiano è strutturalmente iniquo in quanto ricava gran parte delle sue entrate dal reddito di lavoratori e pensionati. Il gettito dell’Irpef, l’unica imposta realmente progressiva, che copriva negli anni 90 circa il 60% delle imposte dirette, è balzato nel 2000 al 70%. Anche la maggior parte delle imposte indirette viene pagata da lavoratori e ceti popolari.

La Cgil assume l’obiettivo di riequilibrare la pressione fiscale a favore del lavoro dipendente e dei pensionati. Il criterio di progressività deve essere applicato a tutti i redditi a partire dall’Irpeg; va poi innalzato il prelievo che oggi si basa su un’aliquota fissa del 12% al valore medio del 20%. Per quanto riguarda l’Irpef, va ripristinata la restituzione del fiscal-drag e vanno modificate le aliquote per spostare il peso del prelievo dai redditi medio-bassi a quelli medio-alti. Va rivisto il meccanismo dell’Irap e pianificata la lotta all’evasione.

3.3. Lo Stato sociale

* La spesa sociale

Negli anni 90, con l’affermarsi delle politiche neoliberiste, si è sviluppato un attacco allo Stato sociale. Mentre il blocco della spesa sociale ha portato i livelli italiani al di sotto della media europea, il permanere del lavoro nero, l’alto tasso di disoccupazione, l’incremento massiccio dei lavori precari e atipici e la politica delle decontribuzioni minano alla base lo Stato sociale. La Cgil si propone di consolidare ed estendere lo Stato sociale, con l’obiettivo di incrementare la spesa sociale di un punto di Pil annuo, fino a raggiungere la media europea. Inoltre, la Cgil si impegna a superare le politiche di decontribuzione, che colpiscono le tutele sociali delle nuove generazioni.

* Contro il federalismo fiscale

Le ricadute del federalismo fiscale sullo Stato sociale sono uno degli aspetti più pericolosi del processo in atto. La Cgil si pronuncia per il ripristino del fondo nazionale nella sanità e nell’assistenza sociale e di tutte le loro funzioni e compiti attuali.

* Gli «ammortizzatori sociali»

In Italia questi istituti sono di livello inferiore al resto dell’Europa. Una riforma è urgente e non può essere fatta riducendo tutele sociali già esistenti. La Cgil, che ritiene non più utilizzabile lo strumento dei prepensionamenti, propone che i nuovi «ammortizzatori sociali» siano basati su tre strumenti:

• cassa integrazione generalizzata a tutto il lavoro dipendente estendendo l’attuale sistema a contribuzione obbligatoria;

• assegno di disoccupazione per tutti i lavoratori in caso di licenziamento, in proporzione al periodo di lavoro svolto;

• assegno di inoccupazione, a carico della fiscalità generale, da corrispondere per un certo periodo a tutti i cittadini inoccupati tra i 16 anni e i 25 anni in cambio della disponibilità all’avviamento al lavoro.

* Le pensioni

La Cgil ritiene che con la «riforma Dini» del 1995 il sistema previdenziale italiano è in grado di mantenersi in equilibrio: non c’è bisogno di nuovi interventi strutturali quali, ad esempio, l’estensione a tutti del contributivo. Bisogna, invece, superare le ingiustizie introdotte con l’allungamento degli anni di lavoro per gli operai e per chi compie mansioni pesanti, con il contributivo che metterà a rischio pensionistico gli attuali 5 milioni di lavoratori tra stagionali, part time, tempo determinato, parasubordinati e soci-lavoratori di cooperative, con la penalizzazione di lavoratrici e lavoratori anziani con insufficiente contribuzione.

* La nuova legge sull’assistenza

Dopo oltre cinquant’anni il Parlamento ha varato la nuova disciplina dell’assistenza. Ma la legge non è soddisfacente in particolare per quanto riguarda l’esiguità delle risorse, il ruolo eccessivo del privato, la destinazione delle risorse alle Regioni senza destinazione d’uso. La Cgil ritiene necessario apportare sostanziali modifiche, a partire dal mantenimento del fondo nazionale di perequazione.

* La difesa della sanità pubblica

Il diritto alla salute è un elemento fondamentale di eguaglianza e solidarietà. Occorre difendere il carattere pubblico della sanità: la sanità privata, come negli Usa, non assicura risultati soddisfacenti in termini economici e di servizio, moltiplica la spesa e peggiora la situazione sanitaria. La Cgil ritiene che l’accordo Stato-Regioni raggiunto nell’agosto 2000, che prevede la scomparsa del Fondo sanitario nazionale e l’eliminazione della destinazione d’uso, sia un dato negativo da recuperare. Egualmente negativi per la Cgil sono i referendum regionali promossi in alcune Regioni del Nord per assegnare tutte le competenze in materia sanitaria alle Regioni.

* Per gli anziani

Il progressivo invecchiamento della popolazione è una sfida che richiede la costruzione di un nuovo modello di relazioni sociali, oggi invece la condizione di anziano comporta crescenti problemi di emarginazione sociale e culturale e di precarietà. La Cgil rivendica: la garanzia di diritti essenziali (reddito adeguato, standard elevato di servizi sociosanitari, diritto alla casa, istruzione permanente); e insieme una «cittadinanza attiva» capace di valorizzare l’apporto degli anziani come risorsa per la collettività.

* Per i servizi pubblici

La privatizzazione in corso dei servizi pubblici s’inserisce nell’idea liberista di affidare al mercato, e quindi a soggetti privati, anche il soddisfacimento dei bisogni collettivi. Centrale, in questa direzione, è la possibile modifica costituzionale con l’inserimento del concetto di «sussidiarietà» dei privati per lo svolgimento di attività di interesse generale. Amministrare i servizi pubblici, in particolare quelli alla persona, avendo in mente solo il taglio dei costi, tra cui quello del lavoro, è pericoloso. Va respinto anche un uso strumentale del terzo settore. Infatti, a volte, le condizioni di chi opera nelle cooperative o nel volontariato sono drammatiche.

3.4. Scuola, università, ricerca e formazione

* La scuola

La nuova fase politica aperta dalle elezioni del 13 maggio investe pesantemente anche la scuola: buono scuola, libera scelta delle famiglie, competizione tra le scuole.

La legge di parità, che introduce il sistema formativo integrato tra pubblico e privato, apre, nei fatti, la strada alla privatizzazione dell’intera formazione pubblica.

Il blocco della riforma da parte del Governo non è motivato per migliorare la scuola pubblica sulla base delle valutazioni diffuse tra insegnanti, studenti e famiglie, ma per aprire la scuola alle proposte di Confindustria che fanno perno sul bonus e sulla libera assunzione degli insegnanti da parte dei presidi.

Ma la difesa della scuola della Repubblica travalica la fase attuale; per questo l’opposizione ai progetti del nuovo governo deve essere intransigente e deve impegnare tutta la Cgil.

Non si può affrontare questo scontro con una linea continuista: c’è bisogno di un nuovo progetto che riaffermi il carattere pubblico e laico della scuola e sappia operare una sintesi tra formazione del cittadino come soggetto sociale e acquisizione di saperi connessi al mondo del lavoro. Parimenti va riaffermato per tutti il diritto allo studio di fronte all’emergere di nuovi elementi di selezione economica.

L’elevamento dell’obbligo scolastico a 16 anni rappresenta un primo importante passo verso l’obiettivo dell’innalzamento a 18 anni per completare il disegno riformatore e impedire il rinascere di antiche discriminazioni tra istruzione e formazione per l’avviamento al lavoro.

* L’università e la ricerca

Per quanto riguarda l’università, l’autonomia ha in gran parte fallito i suoi obiettivi. La spinta alla competizione ha finito col privilegiare le università con dimensioni e possibilità maggiori. Anche per i lavoratori dell’università si verifica un ampliamento immotivato di nuove tipologie di lavoro flessibile e di collaborazioni coordinate e continuative.

Va riconfermato il carattere pubblico del sistema di formazione e ricerca, rimuovendo tutti gli ostacoli di carattere economico e sociale e combattendo il processo di privatizzazione.

* Per il diritto allo studio e alla formazione

È necessario combattere la tendenza all’abbandono precoce della scuola e non appiattire sulla formazione professionale e sui contratti di apprendistato il recupero di questa situazione. Va garantito il diritto alla formazione permanente per tutte le lavoratrici e per tutti i lavoratori con adeguate riduzioni d’orario.

3.5. Democrazia sociale e sindacale

* Una legge sulla rappresentanza

La legge sulla rappresentanza sindacale, con tutti i suoi limiti, avrebbe rappresentato un importante passo avanti. La Cgil propone di riprendere la battaglia per una legge sulla rappresentanza con una campagna di mobilitazione.

* Per la democrazia di mandato

La Cgil si impegna a rafforzare l’obbligo statutario per tutti i suoi dirigenti di rispettare la democrazia di mandato e, quindi, di consultare preventivamente i lavoratori interessati e di attenersi alle loro decisioni in qualsiasi vertenza contrattuale.

* Per il diritto di sciopero

La Cgil deve avanzare una nuova proposta per una normativa sullo sciopero che trovi un compromesso democratico tra i diritti sindacali dei lavoratori e quelli degli utenti. In questo senso – fermo restando il diritto personale allo sciopero garantito dalla Costituzione – la Cgil è contraria a vincolare l’indizione di qualsiasi iniziativa di sciopero alla preventiva consultazione referendaria tra i lavoratori.