Lavoro, precarietà fa rima con infortuni

Nel 2006 saranno 50 anni dalla strage di Marcinelle, in Belgio, dove morirono 262 minatori, di cui più della metà italiani. Fu proprio sull’onda di quel tragico episodio che cominciò a farsi largo in Europa l’idea della tutela della salute e della prevenzione degli infortuni sul lavoro. A mezzo secolo di distanza sono state scritte tante leggi, ma dal punto di vista dei lavoratori, soprattutto per quel che riguarda le giovani generazioni, precarizzate e senza diritti, è cambiato poco. Paradossalmente, proprio l’Europa, che a partire da quel tragico evento produsse tutta una serie di disposizioni che hanno fatto scuola, oggi sta rimettendo tutto in discussione con la Bolkestein e il liberismo senza freni.
Il seminario che l’Inca-Cgil ha organizzato a Bruxelles (ieri e oggi) rappresenta quindi un’occasione senza precedenti per tentare di fare il punto della situazione dopo il giro di boa dell’allargamento e, soprattutto, a pochi mesi da quella liberalizzazione dei servizi e delle “risorse umane” che rischia di riportarci all’anno zero.

Insomma, il tema dell'”insicurezza sul lavoro” è tornato a fare il paio con la precarietà e l’attacco ai diritti e lo sfruttamento dei soggetti deboli. E così, se su alcune questioni importanti come l’amianto la strada imboccata è quella giusta, torna l’emergenza dei rischi chimici (quasi 90mila sostanze di cui non si vogliono definire i valori-soglia), più prepotente di prima a causa dell’azione delle multinazionali sul Reach; rimane con grandi punti interrogativi tutta la filiera delle malattie muscolo-scheletriche, guarda caso quelle più direttamente legate ai ritmi di produzione e all’organizzazione del lavoro di vecchio stampo (un ponte perfetto tra vecchia e nuova economia per chi ama fare sociologia su questi temi); si resta fermi sulla lista delle malattie professionali; così come non si fa alcun progresso sulla tutela delle donne in gravidanza.

E poi c’è il grande capitolo del lavoro atipico, sul quale sia il sindacato che le istituzioni ancora non riescono, per usare un eufemismo, ad entrare in sintonia con la realtà delle cose. Eppure le statistiche parlano chiaro. E ieri in tutti gli interventi, anche di sindacalisti europei, la sottolineatura è tornata con una frequenza impressionante. In Spagna, per esempio, il nesso tra lavoro precario e tassi elevati di infortuni sul lavoro è strettissimo. Tra l’88 e il 95 su mille lavoratori considerati i tassi di incidenza sono stati 2,8 volte più elevati tra i lavoratori temporanei rispetto a quelli occupati a tempo indeterminato. Tra il 1996 e il 2002 la situazione si è deteriorata. In Belgio il tasso di gravità globale per gli interinali è del 4.45 e per tutti i lavoratori dell’1,86.

Laurente Vogel, ricercatore del Bts, l’Ufficio tecnico sindacale per la Salute e la Sicurezza (Ces), dice senza mezzi termini che ormai la curva ascendente dell’insicurezza sul lavoro corre parallela a quella della disuguaglianza sociale.

Il sindacato europeo sta cercando di cambiare tattica, passando a una politica verso la Commissione europea che contempli innanzitutto impegni più solidi. Tra qualche anno verranno al pettine i nodi dei tumori da malattie professionali. Non solo, l’Europa dice di aver bisogno di 20 milioni di lavoratori migranti ai quali potrà “offrire” un quadro di concorrenza al ribasso e di forte ricattabilità di cui il mancato rispetto delle norme sulla prevenzione degli incidenti sul lavoro sarà un punto centrale (come dice Antonio Bruzzese, segretario Esteri dell’Inca). Insomma, tramonta il mito di un’Europa che si lascia alle spalle la cosiddetta “vecchia economia”. E sarà proprio il tema della sicurezza sul lavoro che ne metterà a nudo le contraddizioni.

«Abbiamo considerato come taumaturgica l’implementazione della direttiva europea sulla sicurezza sul lavoro (1989ndr) – sottolinea Paola Agnello Modica, della segreteria nazionale della Cgil – e abbiamo delegato troppo agli esperti». «Ora dobbiamo tornare a considerare il liberismo per quello che è», aggiunge. Modica cita le disastrose statistiche sugli infortuni che vengono catalogati come malattie e della difficoltà da parte di un lavoratore precario, nel futuro, a ricostruire la sua storia occupazionale in funzione degli episodi potenzialmente patogeni. E’â chiaro che in un quadro in cui la quantità è il carburante principale dell’economia di mercato, a farne le spese sono i soggetti deboli ovvero, oltre ai precari, le donne e gli anziani. I numeri citati da Paul Lootens (segretario federale della Centrale generale Fgtb) hanno dell’incredibile: in pratica, i vari governi europei non hanno nessuna convenienza a mandare in pensione i lavoratori a 65-70 anni perchè il costo sanitario causato dagli infortuni e dalle malattie è enormemente più alto di quello previdenziale qualora si decidesse di mandarli in pensione a 52-53 anni. Eppure lo fanno. Anzi, danno incentivi perchè rimangano. Ecco in due parole che cosa è il liberismo. E quali quali sono i suoi interessi ciechi.